Salutando Prospero
Ci ha scritto, chiedendoci se volevamo pubblicare alcune sue riflessioni su Prospero, Vittorio Antonini, un detenuto politico all’ergastolo dall’aprile del 1985 e attualmente in regime di semilibertà. La lettera doveva essere letta in occasione del funerale ma per una serie di vicissitudini non è stato possibile.
La morte di Prospero, un Comunista e un Combattente semplice e determinato sia nella buona che nella cattiva sorte, ha compiuto il piccolo miracolo di farci ritrovare oggi in tanti per abbracciarlo, ognuno con i suoi pensieri ed i suoi ricordi ma anche collettivamente.
Sicuramente oggi Prospero sarebbe felice di vedere attorno a se decine e decine di militanti delle Brigate Rosse, quelli che pur consapevoli dei limiti e degli errori teorici e politici da noi commessi, hanno rifiutato le vie del pentitismo e della dissociazione ed hanno attraversato per decine di anni i cortili delle carceri italiane. C’è voluta la morte di uno dei migliori di noi per rincontrarci, abbracciarci……. e pur con tutte le legittime e inevitabili differenze, riconoscerci TUTTI come un vasto e pregiato branco di “animali politici” che provenivano dalle più diverse realtà della lotta di classe ed insieme hanno contribuito alla più importante esperienza Comunista che sia nata in Italia nel secondo dopoguerra.
Alcuni di noi (come me ed altri) sono ancora prigionieri. Essi continuano a ritenere che la portata della lotta delle Brigate Rosse contro lo Stato non può essere svilita, e per questo oggi continuano a pagare niente altro che il loro rifiuto di sottoporsi alla gogna politica di umilianti ed ipocrite lettere ai cd “parenti delle vittime”, elevati arbitrariamente dalla prassi di molti Tribunali di Sorveglianza ad una sorta di quarto grado di giudizio. Noi rispettiamo il dolore di tutti, ma non possiamo e non vogliamo mortificare in tal modo la dimensione politica e collettiva della nostra militanza. Quella dimensione politica e collettiva che Prospero ha più volte sottolineato nei suoi interventi pubblici.
Ma ciò che più conta, è che insieme a noi oggi vi sono tanti altri compagni nostri coetanei e tanti giovani che sono espressione di varie realtà di lotta sparse nel paese. La loro presenza in fondo testimonia l’insopprimibile aspirazione a lottare per un mondo migliore, per una società senza classi e senza più galere. Quell’aspirazione per cui sono nate e si sono battute le Brigate Rosse, consapevoli che in ogni angolo del mondo la lotta contro lo sfruttamento, la miseria e l’ignoranza, comporta sempre un duro prezzo da pagare, anche quando si svolge all’interno dei moderni Stati imperialisti.
Oggi può sembrare quasi un paradosso, ma le stupide dietrologie e le deboli argomentazioni con le quali si è tentato per l’ennesima volta di “annebbiare” la figura di Prospero e la storia delle Brigate Rosse, è forse l’ennesima involontaria prova di quanto la nostra esperienza, pur non essendo stata all’altezza dei suoi compiti, sia stata però senz’altro “storicamente all’avanguardia” sia sul piano teorico che su quello politico, accumulando una enorme mole di esperienza che non ha eguali in nessun paese europeo.
Ma noi non possiamo e non dobbiamo vivere di soli ricordi, perché la lotta politica non ammette di poter camminare con la testa volta all’indietro e tantomeno di cullarsi nell’autocompiacimento. E se ci riflettiamo un attimo, forse proprio l’isteria di chi non digerisce il fatto che la figura di Prospero sia stimata anche da tanta gente che non appartiene alla nostra passata militanza, evidenzia i nostri odierni limiti ed errori nella difesa critica ed autocritica della nostra storia. A volte si ha l’impressione che noi che proveniamo dalla storia delle Brigate Rosse facciamo fatica a riconoscerci l’un l’altro, quasi avessimo paura di interrogarci collettivamente sul “Che fare?” per elaborare e consegnare ai movimenti di lotta ed ai giovani compagni di oggi ciò che di giusto e quindi di utile vi è stato nella nostra storia.
Alcune esperienze collettive che sembravano andare in questa direzione non hanno avuto fortuna, e ad oggi restano gli apprezzabili tentativi (soprattutto con la pubblicazione di libri) di singoli compagni e compagne. Ma forse è arrivato il momento in cui è possibile ricominciare a guardarci negli occhi ed a progettare insieme la costruzione di un nostro spazio comune, che abbia uno stretto legame con le realtà di lotta e soprattutto con i giovani compagni, dentro il quale trovino posto ed un giusto equilibrio sia l’espressione individuale che quella collettiva.
Nei mesi scorsi a Roma abbiamo fatto un primo piccolo tentativo in questa direzione, organizzando insieme ad alcune importanti realtà di lotta un’iniziativa che vorremmo portare anche in altre città e che ha dimostrato il filo che lega l’uso della tortura dagli anni ’70 a Genova e sino ad oggi. L’idea, semplice e concreta, è quella di un luogo (l’embrione di una sorta di Fondazione) dove la ricerca storica e l’espressione musicale, la produzione di libri e la rappresentazione teatrale, la produzione di video e tutte le espressioni artistiche, si possano coniugare con l’elaborazione collettiva e alcune nostre necessarie battaglie in difesa della nostra storia e dei nostri compagni, ed in particolare di TUTTI i compagni che sono ancora prigionieri.
Lo ripeto: non si tratta di camminare con la testa volta all’indietro, ma per quel che di positivo c’è stato nella nostra storia e per quel che riusciremo a fare, vogliamo contribuire alle lotte di oggi per quella “semplicità difficile a farsi” che in tanti nel mondo abbiamo chiamato Comunismo e per la quale tanti anni fa sono nate ed hanno lottato le Brigate Rosse.
Un abbraccio a tutti.