Il ritorno alla sovranità statale: dale Cristina…dale Argentina!

Il ritorno alla sovranità statale: dale Cristina…dale Argentina!

Dopo qualche giorno, e dopo esserci confrontati con compagni argentini su alcuni passaggi chiave della vicenda YPF-Repsol, possiamo commentare la storica decisione del presidente argentino Fernanda Kirchner di espropriare la Repsol dal controllo dell’azienda petrolifera argentina e la successiva nazionalizzazione. Un passaggio storico, che merita più di una riflessione.

Come crediamo sappiate ormai tutti, due settimane fa l’Argentina è tornata in possesso della sua principale azienda petrolifera, l’YPF, estromettendo il gigante multinazionale spagnolo dell’estrazione e della raffinazione del petrolio Repsol  . Azienda che era riuscita ad acquisire il controllo della principale azienda del paese latinoamericano venti anni fa, nel 1992, a seguito dell’ondata di privatizzazioni che smantellarono le proprietà statali argentine e spianarono la strada al fallimento dello stato avvenuto dieci anni dopo, nel 2001. La cura neoliberista imposta dall’FMI e da Washington privò l’argentina di tutta la struttura organizzativa statale (oltre a far esplodere il debito pubblico). Tanto per fare un esempio (esempio ricorrente in molti altri paesi del Sudamerica), smobilitò le ferrovie lasciando il paese senza rotaie e senza aziende nazionali del trasporto ferroviario, a tutto vantaggio del trasporto privato su gomma (cosa successa anche in Messico, tanto per citare un altro paese investito dalla cura FMI). Altro esempio, la privatizzazione delle Aerolineas Argentinas. Questa lettera è un utile spunto per comprendere la situazione argentina (nonché la nostra), degli anni novanta.

Bene, l’Argentina, con una decisione senza precedenti (e che, sia detto per inciso, poteva accadere esclusivamente in America Latina oggi, visti i processi di partecipazione popolare e di capacità di influenza dei movimenti sui governi nazionali), ha imposto d’autorità l’espropriazione del 51% del capitale dell’azienda in mano alla Repsol. Perchè? Presto detto. Nel 1992, data della sua privatizzazione che aprì le porte al controllo straniero, l’YPF contava 55.000 lavoratori; dopo due decenni di saccheggio petrolifero (l’YPF è la società più importante controllata dalla Repsol, quella che produce per l’impresa spagnola i profitti più alti e i maggiori margini di guadagno), i lavoratori oggi sono 6.000. 49.000 licenziamenti in venti anni.

Oltre a questo, la possibilità di rientrare in possesso di un settore strategico quale l’estrazione del petrolio, nonchè l’appoggio di tutta la popolazione argentina, ha fatto il resto: le forze dell’ordine sono entrate nella sede della YPF, hanno espulso i dirigenti spagnoli e si sono riappropriati dell’impresa.

L’isterica reazione della Spagna, dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e di tutti gli altri comitati d’affari dove il grande capitale si ritrova, non fanno altro che certificare l’importanza dell’azione intrapresa. Ad appoggiare invece l’Argentina è stato tutto il blocco latinoamericano dei paesi progressisti, oltre all’importante appoggio dei BRICS. Ma la vera novità – storica – è un’altra.

Sappiamo benissimo che i paesi riuniti nel cosiddetto patto BRICS, che più passa il tempo più si presenta come il nuovo polo d’aggregazione economica delle economie emergenti e in piena espansione economica, non si pone certo come alternativa al sistema capitalistico. Si pone come concorrente, come polo d’attrazione di capitali alternativo alla triade Stati Uniti-UE-Giappone. Non è questo il punto. Il punto è che, dopo un trentennio di espansione senza limiti del modello neoliberista, raggiunta la maturità del processo di globalizzazione economica, dopo decenni di costante smantellamento dell’autorità statale a favore della transnazionalità dei grandi capitali e della multinazionali, l’azione del governo Kirchner è un atto in controtendenza. E’ un’azione che riafferma l’autorità statale sulla proprietà privata, soprattutto sulla proprietà privata in mano alle aziende multinazionali. E’ un atto di guerra al capitalismo transnazionale. Pone un freno, un limite all’espansione senza regole del capitale oligopolistico, e riafferma la legittimità della sovranità statale contro i ricatti del capitale globalizzato. Il ricatto Marchionne, in Europa perfettamente legittimo e protetto da una legislazione conseguente e da una politica accomodante, in America Latina non è passato, o quantomeno ha subito una prima importante battuta d’arresto. Non è possibile sottovalutare l’importanza di un passaggio del genere, la novità che un gesto come questo può creare nell’ambito delle relazioni economiche internazionali: nei paesi a capitalismo maturo (cioè neoliberista), le aziende private in crisi si salvano coi soldi pubblici e continuano a rimanere private, avviene cioè l’esatto opposto di ciò che è avvenuto.

Ciò significa che questo passo è in direzione di una possibile socializzazione dei mezzi di produzione? No, assolutamente. E’ un passaggio che riafferma la proprietà capitalistica nazionale contro quella internazionale. La Kirchner non sta statalizzando l’impresa, l’ha solo nazionalizzata. Continuerà a rimanere privata, e al suo interno non cambieranno di certo i rapporti di produzione fra lavoratori e padrone. Non è questo ciò di cui stiamo parlando, ed è importante sottolinearlo perché, se da un lato la presidente argentina ha accelerato – ponendosi contro il blocco capitalistico occidentale – dall’altro sta frenando la sinistra argentina che ne chiede appunto la sua ri-pubblicizzazione e l’acquisizione del 100% della proprietà, e non solo del 51% che era in mano alla Repsol. E’ il segnale che va colto, e che poteva emergere, come abbiamo già detto, al giorno d’oggi solo nel contesto latinoamericano. E’ la riaffermazione della sovranità statale. Significa ridare senso alla politica, significa che da oggi il parlamento argentino, le elezioni, i rappresentanti politici alle camere conteranno qualcosa di più. Significherà che le decisioni politiche potranno influire maggiormente sui processi economici, dunque il parlamento riacquista una sua centralità. Esattamente quella che si è andata perdendo nel contesto europeo. E’ solo un embrione, per carità. E’ il segnale, lo ripetiamo, che bisogna cogliere. Il capitale internazionale ha subito una battuta d’arresto, in un settore peraltro fondamentale come l’estrazione petrolifera. Questa è la direzione, in attesa di passaggi più incisivi. Un’azione da noi impensabile, che sarebbe punita con l’esclusione da tutti i rapporti economici di libero scambio. In Grecia l’Unione Europea ha impedito l’indizione di un referendum e posticipato le elezioni; in Italia ha imposto un regime change mettendo ai vertici politici l’amministratore europeo del grande capitale; in Argentina una multinazionale privata è stata espropriata con un atto unilaterale. Trovate voi le differenze…

 

Alcuni link utili:

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=148249&titular=%A1bravo-por-cristina!-

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=148295&titular=notas-sobre-la-expropiaci%F3n-de-ypf-

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=148418&titular=ypf-la-izquierda-latinoamericana-y-el-modelo-de-desarrollo-

http://www.rebelion.org/noticia.php?id=148440&titular=repsol-ypf-o-la-recuperaci%F3n-de-la-soberan%EDa-energ%E9tica-argentina-