Biji Kurdistan, biji serok Apo Abdullah Öcalan!
Ci incaponiamo, da comunisti, a solidarizzare con le compagne e i compagni che lottano contro il capitale e il padrone, contro l’imperialismo e i suoi scagnozzi. Abbiamo la presunzione di farlo senza cedere alla comodità di mode e di passioni usa-e-getta, ma tenendo saldi quei paradigmi che una volta rendevano l’internazionalismo una spinta fortissima e oggi solo un retaggio del passato.
La causa kurda è colpevolmente dimenticata proprio in Italia, dove risiede una comunità di profughi molto numerosa e decisa (dopo la cattura di Öcalan a Milano i kurdi tennero in ostaggio per diverse ore il console greco nel suo ufficio, insieme a cinque impiegati) e da dove, soprattutto, partì Apo quando non era già più un uomo libero. Grazie a D’Alema, uno che la sa lunga.
È paradossale, inoltre, che il rappresentante dell’Onu che all’epoca fece finta di interessarsi alla causa kurda, cioè Staffan De Mistura, tuttora non muova un dito, nonostante la privilegiata posizione di sottosegretario agli Esteri dell’attuale governo “tecnico”. Certo, Dino Freesullo non c’è più, altri hanno fatto più di un passo indietro e si dedicano ad altro. Ma i kurdi sono sempre lì, a imputridire nelle prigioni turche, privati dei diritti fondamentali, trattati come bestie. Ancora con l’orgoglio di un popolo senza terra, senza Stato, senza libertà. Nell’estate 2009 la speranza per una yol haritasi, cioè una “road map” tra il Pkk – vale a dire l’avanguardia del popolo kurdo – e il premier turco Erdoğan era concreta, dopo che quest’ultimo aveva incontrato Ahmet Turk, presidente del partito filo-kurdo Dtp, un’eccezione importante nel panorama partitico turco. Si pensava effettivamente, in quel tempo, che la volontà di entrare nell’Unione Europea avrebbe indotto la Turchia ad ammorbidire il suo spirito colonialista. Niente da fare: a fine 2009 il Dtp è dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale turca, mentre quasi in contemporanea inizia una campagna repressiva che porterà oltre settemila Kurdi in prigione. Particolarmente pesante l’ultima inchiesta (“Operazione Kck”), che fece imprigionare 4.500 persone in tutto, tra cui quasi cinquanta giornalisti.
Nell’indifferenza generale, i prigionieri politici kurdi sono in sciopero della fame dal 12 settembre. Chiedono il rispetto dei più elementari diritti democratici, chiedono libertà per Abdullah Öcalan. Ma chiedono anche istanze all’apparenza più semplici, ma non meno importanti (per questo sistematicamente ignorate dalle autorità turche): la possibilità di usare la lingua kurda nei processi che vedono coinvolti i prigionieri, il diritto a educare in lingua kurda i propri figli. Noi ci interessammo della causa kurda anche a inizio gennaio, da allora purtroppo la situazione non è migliorata, anzi.
Yasasin özgür Kurdistan!