Visioni Militant(i): La Talpa di Tomas Alfredson
“Da venticinque anni siamo l’unica barriera tra Mosca e la terza guerra mondiale”
Ancora scossi dalla cocente delusione di J. Edgar, torniamo al cinema con qualche remora. La crisi riduce gli stipendi, soprattutto i nostri stipendi da precari, e buttare 7 euro per un altro fiasco sarebbe stato davvero insostenibile. Decidiamo però di ritentare la sorte, convinti che questa volta non possa andar male: sarà per l’ottimo regista, o forse per lo straordinario (per certi aspetti addirittura inarrivabile) cast, o più probabilmente per la sceneggiatura tratta dal libro di un mostro sacro del giallo e delle spy story come John Le Carrè, insomma gli ingredienti c’erano tutti per il grande film. Questa volta, infatti, non veniamo delusi. La Talpa è senza alcun dubbio il più bel film di questo anno appena trascorso, un film che ci riconcilia col cinema. Un film anti-hollywoodiano, soprattutto anti-spettacolare, dove la riflessione e lo sviluppo della storia la fanno da padroni rispetto all’azione e a certe emozioni forti di cui un certo tipo di cinema abusa continuamente.
La Talpa è un film lento e riflessivo, anche se la straordinaria abilità cinematografica del regista lo rende avvincente fino all’ultimo. Narra la storia di George Smiley, un ex agente dell’MI6 in pensione che viene incaricato di scovare una “talpa”, una spia sovietica che si annida tra i più alti membri dei servizi segreti britannici, suoi ex colleghi.
Siamo nel 1973, ci sono i servizi segreti inglesi e quelli sovietici, c’è la guerra fredda e gli intrighi internazionali, ma scordatevi James Bond o le varie “Mission Impossible”. Questo non è un film d’azione né tantomeno ha bisogno di eroi o di combattimenti. La dura realtà (addirittura un certo realismo) della vita dell’agente segreto qui viene descritta nel migliore e più veritiero dei modi possibili. A tratti addirittura con toni documentaristici, la vita dell’agente segreto è la più lontana possibile dall’azione. Il vero agente segreto è colui che si confonde con la tappezzeria, che passa inosservato, che studia e analizza dati chiuso nei suoi uffici. Questo Le Carrè lo sa bene, essendo stato anch’egli un agente segreto al servizio del Circus – il servizio segreto britannico – e Alfredson è bravissimo a riportarci in quegli ambienti e in quelle atmosfere.
La vera forza del film è il non dividere il mondo in buoni e cattivi, e soprattutto non far interpretare questa distinzione ideologica ai servizi segreti, che sono inevitabilmente – secondo il film – tutti dalla stessa parte, e cioè la loro. Niente agenti sovietici avvinazzati e trogloditi al cospetto di agenti occidentali tecnologici e sviluppati; nessun portatore sano di democrazia contro squallidi burocrati di regime. I servizi segreti creano un loro mondo parallelo, si rispettano e giocano ad un gioco tutto loro slegato da ideali politici. Meglio un amico nel campo avversario che un nemico nel proprio campo; meglio scendere a patti con l’agente opposto che avvantaggiare il collega d’ufficio. Questo è il mondo rappresentato ed evocato dal film e dal libro, e sebbene potremmo dissentire da questa interpretazione, rimane notevole il tentativo (isolatissimo) di non dipingere i servizi segreti occidentali come – in fin dei conti e nonostante tutto – i buoni, contro i cattivoni sovietici che vorrebbero tutti scappare nel campo occidentale.
Detto questo, al fine di rappresentare egregiamente questa atmosfera era necessario disporre di un cast all’altezza, e proprio il gruppo d’attori costituisce uno dei punti forti del film. Gary Oldman nei panni del protagonista è perfetto, grigio e compassato come tutta la storia. Insieme a lui, degno contraltare è Colin Firth, già apprezzato nel Discorso del Re. Più tutta una serie di attori secondari che il regista ha la bravura di rendere co-protagonisti nell’evocazione del clima da guerra fredda.
Un film che rievoca abilmente atmosfere da socialismo reale, coniugate con uno stile inglese che rappresenta un mix riuscitissimo. Un film che ci riporta direttamente agli anni settanta, alla guerra fredda non come rappresentazione tossica e idealizzata, ma nella sua effettiva realtà. Un film insomma nettamente in controtendenza rispetto ad una certa cinematografia odierna, e per questo da apprezzare ancor di più e da rivedere più volte, vista anche la notevole complessità dell’intreccio narrativo. Un film insomma riuscito in tutti i suoi aspetti, un film che ci scopre gli ingranaggi oscuri di una guerra fredda che, se non si tramutò in conflitto diretto, venne comunque combattuta indirettamente anche da servizi segreti senza alcuna esclusione di colpi.