Varie ed eventuali: il meglio e il peggio della settimana giornalistica
Qualche giorno fa divampava la polemica sulla figlia del ministro Fornero. Polemica ovviamente ad uso e consumo esclusivo del mondo politico e giornalistico. Dopo aver dichiarato in più occasioni dell’inutilità, la noia o, al più, dell’impossibilità del posto fisso in Italia (leggi e leggi) retaggio di epoche passate e non in linea con le ultime frontiere economiche, si viene a scoprire che non solo Fornero madre ha il posto fississimo (leggi) anzi, una serie di posti da cui non la smuove nessuno, ma che anche Fornero padre (leggi) ha il posto fisso, e anche Fornero figlia (leggi) ha la poltrona garantita a vita.
Le polemiche sono dunque arrivate puntuali, fra un mondo politico-giornalistico che difendeva la “straordinaria” intelligenza della figlia, e il mondo reale che chiedeva conto della coerenza di certe affermazioni: se il posto fisso è inutile, noioso, utopistico, si vorrebbe quantomeno notare la flessibilità di chi si arrischia in certe affermazioni. Invece niente, chi comanda continua a sommare incarichi stabilissimi dai quali è abolito il licenziamento; chi invece svolge un normale lavoro, il futuro prevede solo precarietà a vita. Il problema dunque non è l’intelligenza o meno della figlia, della quale non ce ne frega nulla ed è perfettamente in linea con quella di centinaia di migliaia di altre intelligenze che il posto fisso non lo avranno mai, ma la presa per il culo continua di chi al potere sbeffeggia chi è costretto a portare a casa la giornata, la settimana o il mese senza alcuna sicurezza e progettualità di una vita un po’ meno di merda dell’attuale. Con buona pace dei perbenisti di sinistra, alla Fazio&Floris, accorsi in difesa dell’intelligentissima figlia del ministro, che ovviamente si è meritata il posto fisso (come se i precari, invece, il posto fisso se lo meritano perché meno intelligenti).
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Dei tagli alla spesa sociale, che producono questo ne abbiamo già parlato. Quello che è stupefacente riscontrare è piuttosto l’assoluta apatia politica rispetto a polemiche facilissime da cavalcare perché evidenti e palesi, e che invece la sinistra si guarda bene dal far emergere. Qualcuno ha detto che questa crisi può aprire praterie politiche per la sinistra, un intero mondo di possibilità da organizzare; sarà, intanto le occasioni si sommano e si sprecano, vengono servite su piatti d’argento che dovrebbero essere, anche solo strumentalmente, prese a pretesto per fare opposizione. E invece niente, il Nulla.
Occasioni simili, storicamente, non ne ritorneranno facilmente. Lo stato sociale italiano (europeo) viene fatto a pezzi giorno dopo giorno con l’intesa unanime dei partiti in parlamento e nel silenzio totale di chi dovrebbe fare opposizione sociale al neoliberismo. Se anche un evento così lineare (spesa pubblica tagliata, sistema sanitario al collasso) non riesce a far emergere voci dissonanti rispetto al consenso di cui gode il governo dei tagli, significa che è necessario prendere atto di un fallimento politico di dimensioni epocali, di un cambiamento storico sociale anch’esso epocale (la fine del welfare state come lo abbiamo sperimentato in questi cinquant’anni), e capire come fare a ripartire.
Non è facile, d’altronde, avere a che fare una governance sovranazionale (BCE, FMI, UEM) che non si limita più a prescrivere consigli sul rispetto dei parametri stabiliti volontariamente dai governi nazionali, ma che interviene direttamente, imponendo le misure economiche da attuare negli stati membri, che impedisce ad un paese sovrano e democratico (la Grecia) non solo di svolgere un referendum, ma addirittura di svolgere le elezioni politiche quando decide il proprio parlamento. Sempre la Grecia però ci offre l’esempio di come una lotta sociale conflittuale e radicata stia portando alla caduta del quarto governo neoliberista nel giro di due anni, e al 40% dei consensi elettorali per le formazioni comuniste.
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L’isteria giornalistica della settimana è poi approdata alla più classica delle battaglie liberali, quella per la libertà d’espressione; in questo caso, in difesa del diritto del Pubblico Ministero Caselli a non essere contestato da chi, qualche settimana prima, si era visto privato della libertà del medesimo diritto, quello cioè di manifestare. Caselli infatti non è un cittadino qualsiasi: è un magistrato. Che, di passaggio, qualche giorno prima aveva mandato in carcere diversi compagni perché avevano manifestato in Val di Susa contro la TAV. Arresti rivendicati apertamente sui giornali, tentati teoremi (il brigatista, i cattivi maestri, i professionisti del conflitto) che devastano la vita di persone per i vezzi politici del Procuratore Capo. Il minimo che possono fare i compagni è quello di non farlo parlare. Troppo comodo mandare in galera la gente e poi sperare di presentare libri come se nulla fosse. La libertà d’espressione non è un concetto a-storico immutabile e assicurato per sempre, ma un diritto che va conquistato e difeso quotidianamente. Caselli ne gode ampiamente come rappresentante dello Stato; i compagni se la devono conquistare la loro libertà d’espressione. Esattamente come hanno fatto e come continueranno a fare, la loro libertà d’espressione, le loro ragioni e le loro lotte emergono e diventano espressione solo quando riescono a rompere la cappa mediatico-politica esistente. Al di là, molto al di là, dei pelosi perbenismi di chi invoca il pacifismo come unico strumento “di lotta” per le proprie ragioni. Senza quelle lotte e quei compagni oggi avremmo già l’alta velocità in Val di Susa.
Ci vediamo sabato a Bussoleno.