Der Kommissar
“Dreh dich nicht um – oh, oh, oh der Kommissar geht um – oh, oh, oh”… non voltarti il commissario ci gira attorno. Per chi se lo ricorda suonava più o meno così il singolo che nel 1982 portò il mitico Falco a scalare tutte le classifiche europee, un pezzo che si tramutò presto in un vero e proprio cult che credevamo dovessimo custodire gelosamente tra i nostri ricordi e che invece da qualche mese sembra essere diventato la colonna sonora dell’Unione Europea. Come avrete notato ieri gran parte della stampa, soprattutto quella di centrosinistra, dedicava pagine e pagine alle ironie della Merkel e di Sarkozy sulla credibilità internazionale di Berlusconi, sono stati decisamente in pochi, però, quelli che si sono sofffermati sull’ennesimo diktat economico rivolto all’Italia e sulle sue implicazioni politiche ed economiche. Eppure la richiesta, o meglio, l’imposizione di varare entro pochi giorni ulteriori misure economiche volte alla riduzione del debito rappresenta infatti, dopo la lettera della BCE di questa estate, l’ennesima dimostrazione che ormai la politica economica italiana è commissariata e non è più di competenza del parlamento che, bene che vada, è chiamato a ratificare scelte fatte altrove. Con tanti saluti anche alle formalità della democrazia liberale. Ovviamente, per far fronte alle pressioni di Bruxelles, la prima idea che è venuta al premier è stata quella di far pagare ai soliti noti proponendo un nuovo innalzamento dell’età pensionabile. E se la cosa non fosse maledettamente drammatica verrebbe quasi da ridere al pensiero di quante volte in questi anni, dopo l’ennesima (contro)riforma delle pensioni, ci siamo sentiti promettere che quella era l’ultima, che i conti erano a posto e che non ci sarebbero stati ritocchi. Il teatrino dell’assurdo a cui è ridotta la politica italiana ci ha poi regalato la pantomima di un’opposizione che, per rendersi credibile agli occhi dell’Europa, si è detta comunque possibilista di fronte alla possibilità di mettere mano al sistema pensionistico (e come ti sbagli!?) con il risultato che al momento l’unica ad opporsi al provvedimento è… la Lega Nord. E poi magari tra qualche mese, come dopo ogni elezione, tutti a chiedersi perchè molti operai anche se hanno la tessera della FIOM votano Lega piuttosto che i partiti di centrosinistra. Al di la delle miserie nostrane ci sembra, però, che la vicenda faccia emergere alcune questioni che qui abbozziamo sinteticamente ma che meriterebbero un’analisi molto più approfondita:
1) la progressiva spoliazione di alcune prerogative dello Stato ha di fatto prosciugato gli spazi in cui era possibile anche solo immaginare una politica di tipo socialdemocratico. Parliamo di un processo che la crisi economica ha sicuramente acuito e velocizzato, ma i cui tratti erano evidenti già da anni e che è iniziato con l’unificazione europea. Non disponendo più della possibilità di agire sulla politica economica viene meno la possibilità stessa di realizzare quel “compromesso” sociale tra le classi dominanti e quelle subordinate su cui pure è stato costruito il consenso interno per interi decenni. Potremmo quasi dire che a perdere di significato è l’idea stessa della necessità del consenso, e il caso greco ne è un esempio emblematico. Nonostante una mobilitazione sociale enorme, nonostante l’appoggio pressochè totale alle lotte, nonostante i ripetuti scioperi generali e nonostante la radicalità della piazza pochi giorni fa il parlamento ha ratificato le misure draconiane che gli erano state imposte dalla troika ignorando completamente la volonta popolare.
2) in questo scenario ogni idea di poter andare oltre il semplice “diritto di tribuna” e di rappresentare e convogliare le istanze del cambiamento all’interno del parlamento, ormai svuotato di poteri effettivi, sembra velleitaria tanto quanto quella di chi dice che la rivoluzione è dietro l’angolo.
3) esaurite dunque le possibilità di mediazione sociale allo Stato, ben al di là dall’estinguersi, restano quasi esclusivamente compiti di controllo interno. Anzi, visto il ritorno prepotente della guerra come forma di relazione politica, potremmo tranquillamente parlare di compiti di “pacificazione” di quello che viene sempre di più percepito dalle classi dominanti come “il fronte interno”. Non a caso martedi scorso, riferendo al Senato sui fatti del 15 ottobre, Maroni ha configurato come nuovo reato da introdurre nel codice penale quello di “terrorismo urbano”. Un concetto che va ben oltre l’iperbole semantica da dare in pasto all’opinione pubblica, e che invece rimanda, anche su piano simbolico, alla guerra globale contro il terrorismo che ha segnato quest’ultimo decennio. Ad uno stato di emergenza si reagisce con leggi d’emergenza, questo è quello che sembrano volerci dire e questo è il modo con cui intendono provare a “governare” il conflitto sociale. Quello che è successo questa estate in Inghilterra subito dopo che si sono spenti gli ultimi fuochi dei riot è per certi versi paradigmatico. Nel giro di due giorni sono stati di fatto sospesi lo stato di diritto e l’habeas corpus su cui pure si regge l’intero sistema giuridico anglosassone. Per celebrare i processi per direttissima i tribunali sono rimasti aperti anche di notte, comminando pene spropositate anche a ragazzini minorenni, fino ad arrivare all’espulsione dagli alloggi popolari dei rivoltosi e delle loro famiglie. Nel cuore dell’Europa e contro cittadini europei è stato così riproposto il modus operandi utilizzato dall’esercito israeliano per reprimere i palestinesi. Coloni e colonizzati.
Ci sembra questo, a grandi linee, lo scenario in cui saremo chiamati a muoverci nei prossimi anni. Uno scenario certamente complesso, per certi versi inedito, che però non deve scoraggiare chi non abdica all’idea di trasformare lo stato di cose presenti. Il progressivo slittamento verso lo stato di eccezione ci dice infatti che almeno dal loro punto di vista la situazione e tutt’altro che normalizzata. Insomma, come cantavano i Gang: il futuro non è ancora scritto, ci saranno guai. Il futuro nostro è di sicuro, ci saranno guai!