Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
Recensire il Cimitero di Praga non è stato compito facile. Il libro infatti è stato preceduto e accompagnato da una serie di polemiche che rischiavano seriamente di comprometterne la lettura, alterando la percezione di ciò che si andava leggendo. Antisemitismo, falsificazione della storia, razzismo; tante sono state le accuse a questa nuova opera di Eco, e dobbiamo dire che in un certo senso ci hanno incuriosito. Dare del razzista, o addirittura dell’antisemita ad Eco, ci sembrava degnamente in linea con la produzione culturale italiana di questo ventennio, di una comicità involontaria che ci caratterizza ormai da troppo tempo. Per non dire che il romanzo tratta anche di temi religiosi, dunque nel bailamme mediatico che si è scatenato sul libro è dovuta intervenire anche una parte di mondo ebraico che ha reso il tutto surreale. Ma andiamo con ordine.
Anzitutto, Eco scrive pochi romanzi ma quando li scrive se ne riconosce subito lo stile. E possono pure non piacere, e infatti non tutti sono riuscitissimi, ma di fronte ad uno stile sempre più considerato inutile orpello da una letteratura che deve cogliere subito l’attenzione del lettore senza porsi troppo domande, finalmente un romanzo diverso, forse addirittura di un’altra epoca letteraria. Un romanzo che, al di là della trama, tiene impegnato il lettore e lo porta in un mondo in cui la scrittura non è semplice mezzo per raccontare una storia, ma diviene essa stessa parte di quella storia e di quel modo di raccontare che cambia il modo di leggere le cose. Una scrittura che diviene cultura insomma, e non si limita ad una descrizione infinta di eventi che si susseguono uno dietro l’altro. Un ritorno, ci è sembrato di cogliere, all’Eco del Pendolo di Foucault, soprattutto nelle sue descrizioni degli eventi e di una certa visione complottistica, o anti-complottistica, della storia. Tutto questo senza però essere pesante, o pressante, per il lettore, per cui è leggibilissimo anche dai lettori meno eruditi senza che si perda nulla del valore del romanzo. Insomma, non siamo al Nome della Rosa, il capolavoro di Eco, che comunicava di più a lettori magari più preparati culturalmente. Siamo di fronte ad un romanzo che possono leggere tutti, ma che al tempo stesso esercita i lettori ad una lettura più meditata. E questo è un bene, senza dubbio.
Per quanto riguarda la storia, il libro tratta delle vicende di un falsario torinese che, tramite il suo diario, ci racconta un cinquantennio di vicende e di storia italiana e francese. Dal risorgimento visto con occhi lucidi e distanti, alle vicende della nuova Italia appena formata, alla Parigi comunarda e di fine XIX secolo. Ma soprattutto, ci indica il ruolo che i servizi segreti hanno avuto in uno dei momenti più magmatici della storia europea, cioè quegli anni che vanno dal 1848 alla fine del secolo. E proprio questi anni così difficili da ricondurre a sintesi, anche per chi li dirigeva, e soprattutto sempre con la minaccia della rivoluzione dietro le porte, spinse i governi a trovarsi un nemico comune, interno ma allo stesso tempo tenuto a distanza: gli ebrei. E proprio questo è tenuto a fare il protagonista, che, ricordiamolo, è l’unico personaggio di fantasia del romanzo: quello di produrre documenti che possano screditare gli ebrei e portare ad una sollevazione contro di loro, fino alla soluzione finale. Ed è proprio da questo ragionamento che scaturiranno poi i Protocolli degli anziani di Sion, il falso documento che stette alla base di tutte le politiche antisemite fino alla fine del nazismo, documento che avrebbe dovuto provare il tentativo messo in atto dagli ebrei di conquistare il mondo tramite la finanza e il controllo delle istituzioni statali.
Con la storia la finiamo qua, molto altro ci sarebbe da raccontare ma non vogliamo togliere nulla al lettore in procinto di leggersi il romanzo. Però vogliamo subito calarci nella polemica sollevata da alcuni “studiosi”, e soprattutto raccolta dal Rabbino capo di Roma Di Segni: l’accusa cioè di un romanzo vagamente antisemita. Lo diciamo subito, l’accusa è francamente ridicola. Anzi, di più. Per tutto il libro è sempre chiaro ed evidente il tentativo truffaldino, da parte dei governi tramite i loro servizi segreti, di creare artificiosamente dei documenti falsi che potessero mettere in cattiva luce il popolo ebraico. Anzi, ancor di più, emerge fortemente nella pagine di Eco come tutto il presunto sentimento anti-ebraico sia stato, nel corso dei secoli, una produzione politica dei governi per crearsi un nemico assoluto su cui coinvolgere i sentimenti sociali dei popoli. E, dobbiamo dire, ci sono riusciti benissimo. Ma tutto questo nel romanzo è smascherato. Il protagonista è un falsario profondamente antisemita, che di mestiere produce documenti falsi per i suoi clienti, clienti che da un certo punto in poi divengono i servizi segreti prima savoiardi poi francesi, poi addirittura russi. Ed è tramite queste losche manovre che viene condotta la politica repressiva del governo francese: anche nell’episodio della comune di Parigi, emerge chiaramente come lo strumento fondamentale di repressione degli insorti è il discredito, il dividere la protesta, l’insinuazione del dubbio. Tutto prodotto dal lavoro dei servizi segreti tramite atti falsi, calunnie, dicerie e simili. La repressione fisica arriva dopo, a giochi fatti, quando orami il fronte è spaccato. Ed è una lezione che dovrebbe esserci utile anche per l’oggi, per i nostri eventi quotidiani, per capire come il potere gioca nella divisioni e tende a provocarle, con atti illeciti e con il perenne ausilio dei servizi segreti. Che non sono deviati, ma perfettamente in linea con le indicazioni del potere politico. Il gioco sporco, insomma. Che quando emerge, viene definito deviato, parte di un anti-stato che in realtà è lo stato stesso. Questo affiora inequivocabilmente dalle pagine di Eco, e scambiare questo per una difesa dell’antisemitismo ci sembra veramente assurdo.
Insomma, il resto lo lasciamo a voi. Il consiglio che ci teniamo a darvi, semmai, è quello di leggere questo romanzo pensando ai giorni nostri, di vederlo come un paradigma di come lo Stato governi i suoi problemi sociali, e quali strumenti ha a sua disposizione per reprimere il dissenso. L’unico difetto, ci sembra, è un certo scadere in un dietrologismo che diviene spiegazione del tutto, per cui non esistono dinamiche reali che producono eventi ma questi sono il disegno già preordinato di poteri occulti. Ma chiaramente da Eco non ci aspettavamo un’esegesi delle lotte di classe, e neanche un’analisi della storia conflittuale, o materialistica. E’ una lettura parziale, che ci sta, e che sta a noi capire quanto incida negli eventi.
Il tutto, in un bel romanzo, godibile, che si legge velocemente senza mai essere scontato o “semplice”. Anche in questo anno di festeggiamenti dell’unità D’Italia e di retorica nazionalista e patriottarda, un punto di vista non retorico di quegli eventi storici non fa mai male. Non il miglior romanzo di Eco, ma un libro da leggere, soprattutto di questi tempi.