Recensioni di musica ribelle: Going Out in Style
Una volta in un pub di Derry mi hanno detto che gli irlandesi sono bravissimi a raccontare le storie perché, per molto tempo, sono state tutto ciò che si potevano permettere. Il settimo album in studio dei Dropkick Murphys, Going Out In Style, sembra confermarlo. Si tratta di un concept album, uscito il 1 marzo scorso, incentrato sulla vita di Cornelius Larkin, un personaggio immaginario creato con l’aiuto dello scrittore Michael Patrick Macdonald.
ARTISTA: Dropkick Murphys
ALBUM: Going Out In Style
ANNO: 2011
GENERE: Celtic Punk
DURATA: 45:48
ETICHETTA: Born & Bred Records
TRACKLIST:
1. “Hang ‘Em High” – 3:59
2. “Going Out in Style” (feat. Fat Mike, Chris Cheney and Lenny Clarke) – 4:08
3. “The Hardest Mile” – 3:26
4. “Cruel” – 4:21
5. “Memorial Day” [17] – 2:59
6. “Climbing a Chair to Bed” – 2:59
7. “Broken Hymns” – 5:03
8. “Deeds Not Words” – 3:41
9. “Take ‘Em Down” – 2:11
10. “Sunday Hardcore Matinee” – 2:43
11. “1953” – 4:14
12. “Peg o’ My Heart” (Alfred Bryan and Fred Fisher) (feat. Bruce Springsteen)[18] – 2:20
13. “The Irish Rover” (Traditional) (feat. Pat Lynch) – 3:39
ARTISTI SIMILI: The Pogues, Dubliners, The Clash, The Real McKenzies, Flogging Molly, Street Dogs, Blood or Whiskey
VOTO: 4/5
Video: Going Out In Style
Dal primo album “Do or Die” del 1998 ne è passato davvero tanto di whiskey sul bancone del loro pub, il McGreevy’s di Boston. Adesso in Massachussets non sono più semplici figli di operai con il passatempo della musica. Adesso in città li considerano delle celebrità. A Boston San Patrizio senza il loro concerto, semplicemente, non è San Patrizio e in una città che vanta una comunità irlandese sterminata qualcosa dovrà pur significare. Se non bastasse sono diventati i padrini della squadra di baseball (Red Sox) di cui hanno anche inciso l’inno, della squadra di basket (Celtics) e di hockey (Bruins). Scorsese li chiama per le colonne sonore dei suoi film (The Departed). Bruce Springsteen divide il palco con loro e canta nei loro album. I Sindacati utilizzano le loro canzoni come colonna sonora delle mobilitazioni. A farli arrivare così in alto non è certamente bastata la scrittura a volte stereotipata delle loro canzoni. E’ stato il duro lavoro e l’attaccamento a certi valori che la band simbolo della working class irlandese emigrata negli States ha messo in ogni suo lavoro. Messaggi positivi, allegria e una tenacia di ferro nel dimostrare il proprio valore. Alla fine il mondo della musica (e del successo) li ha abbracciati per questo ed è giusto che sia così. Come dicono in un’intervista “Essere i Dropkick Murphys vuol dire venire da un quartiere della classe lavoratrice, di immigrati, di persone che lavorano dal mattino alla sera e devono nel frattempo crescere i figli e preoccuparsi di tenerli lontani dai pericoli che la strada spesso nasconde. Avere queste radici per noi è motivo di orgoglio, noi non dimentichiamo da dove siamo venuti e di quanto ha fatto la gente che ci ha cresciuto nonostante il poco che aveva. Stare vicino a queste persone e tutte quelle che sono nelle stesse condizioni è qualcosa che ci viene spontaneo”.
Apriamo una parentesi doverosa prima di addentrarci nella recensione vera e propria dell’album. I Dropkcik Murphys pur avendo sempre espresso il loro punto di vista su molte questioni sociali e politiche attraverso le loro canzoni non si sono mai impegnati direttamente in politica, ad esclusione della campagna anti-Bush e delle battaglie per rivendicare i diritti dei lavoratori. Questo, in connessione alla “questione irlandese”, li ha portati ad essere spesso strumentalizzati da parte di nazionalisti e fascisti sparsi per il mondo, compresa l’Italia dove persino Rino Gaetano, Corto Maltese, Marcos, Guevara e le canzoni degli Erode diventano magicamente punti di riferimento culturale del neofascismo. Infatti, nonostante abbiano dichiarato di simpatizzare per i Democrats e abbiano organizzato numerosi concerti benefit a favore dell’Anti-Racist Action, i Dropkick, si sono guadagnati un numeroso seguito di naziskin. Ciò accade anche qui in Italia come dimostrato dal concerto dello scorso anno all’Alcatraz di Milano insieme ai Sick Of It All dove un gruppetto naziskin si è presentato puntualmente all’appuntamento. Leggendo le discussioni in giro per la rete, tutto fa pensare che quest’anno succederà la stessa cosa. Basterebbe però dare un’occhiata ai testi e alle cover di molte delle loro canzoni per capire quanto vengano strumentalizzati. Tanto per citarne qualcuna nella loro discografia appaiono cover dei Clash come “Carreer Opportunities”, “Guns of Brixton”, “Boys on the Docks”, “Caps and Bottles” dei Pogues, la cover eseguita anche da Billy Bragg in supporto dei minatori contro la Thatcher “Which Side Are You On?”, le cover di Woody Guthrie “Gonna be a blackout tonight” e “I’m shipping up to Boston”, canzoni popolari antimilitariste come “The Green Fields of France” e “Johnny I Hardly Knew Ya”. Per non parlare di tutte le loro canzoni che trattano temi politici e sociali, storie di scioperi e di battaglie per i diritti dei lavoratori: “We Got the Power” , “10 Years of Service”, “A Few Good Men”, “Worker’s Song”, “Memorial Day” “Heroes Of Our Past”, “The Hardest Mile” canzoni contro la guerra in Iraq: “Citizen CIA” e contro gli inglesi: “Fighting 69th”, “The Legend of Finn Maccumhail” “The Rocky Road to Dublin” e moltissime altre.
Particolarmente significativa è stata l’ultima campagna in favore dei lavoratori del Wisconsin per la quale i Dropkick Murphys hanno rilasciato in anticipo, rispetto all’uscita dell’album, la canzone “Take ‘em Down” e hanno stampato una maglietta ad hoc per raccogliere i fondi necessari alla mobilitazione.
Diciamolo subito. Going Out In Style è un album che segna un’evoluzione nella storia della band, si tratta del loro lavoro più ambizioso. Nel solco della grande tradizione narrativa irlandese, l’album, ci racconta la storia di Cornelius Larkin. Ken Casey, il bassista-leader del gruppo lo introduce così: “Cornelius è morto, e l’album diventa una retrospettiva della sua vita. Lui è uno di quei ragazzi emigrati in America a 16 anni, arruolato a forza nella guerra di Corea, sposato giovane con un sacco di bambini. Ha lavorato duro, e ha vissuto una vita piena di alti e bassi, prove e ostacoli. Alcune delle storie che raccontiamo sono di fantasia, ma la maggior parte sono ispirate ai nostri nonni, amici e cari“.
Video: Memorial Day
Come i loro estimatori sapranno, le canzoni degli e sugli immigrati irlandesi non sono una novità per la band di Boston ma questo disco lo fa con una maggiore consapevolezza. Le prime due pagine del booklet chiariscono subito il senso dell’album narrando la storia di Cornelius, così come le foto che corredano l’interno. Lo scrittore Michael Patrick Macdonald (autore di All Souls e Easter Rising) si è occupato di scrivere il necrologio nelle note di copertina. Ad oggi si sta persino esplorando la possibilità che possa uscire un libro di cui Going Out In Style sia, in un certo senso, la colonna sonora ideale. Il fatto che le storie siano state spolverate dagli album di famiglia dei membri della band aggiunge un senso di autenticità che aiuta a sfuggire dal rischio di sembrare troppo pretenzioso.
Non sorprende che questo disco risulti anche essere il più influenzato dal folk irlandese. Il ronzio di chitarre e le ritmiche veloci e potenti della batteria ancora caratterizzano il loro sound che però è spesso compensato da tutti gli strumenti della tradizione celtica e folk: violini, flauti, cornamuse, banjo, mandolini, tin whistle, bouzouki, bodhran, fisarmonica e i classici cori da ubriaconi al bancone del pub. Insomma con questo disco giocano più del solito a fare i Pogues ma il risultato depone a loro favore. Un’altra novità è relativa al cantato, dove le melodie graffianti di Ken Casey si occupano di dare voce alla maggioranza delle canzoni, lasciando la voce rauca di Al Barr sul sedile posteriore. Questa è chiaramente una scelta deliberata dal momento che Barr è l’unico membro di origine non irlandese ma scozzese. Importante nel complesso risulta anche l’utilizzo di featuring per alcune canzoni, in particolare Bruce Springsteen (Peg O’ My Heart) e Fat Mike dei Nofx. I Murhpys, insomma, raggiungono un nuovo picco di maturità artistica senza lasciare interdetto nessuno, infatti è stato privilegiato un processo di evoluzione graduale. Nonostante il cd suoni nuovo rispetto a quelli passati viene comunque mantenuto un rassicurante sfondo musicale che risulterà familiare a chi già li conosce.
Per concludere, il passaggio stilistico più evidente risulta quello dei testi. La complessità generale di questo lavoro è dimostrata anche dal lungo tempo di gestazione, sono ormai trascorsi 4 anni dall’uscita del precedente “The Meanest of Times”. Forse ciò che più piace di questo disco, però, è che la band sembra aver imparato da alcuni errori del passato. “The Meanest Of Times” pur essendo un gran bel disco, alla lunga poteva diventare noioso a causa della sua eccessiva intensità e melodia. In “Going Out In Style” non siamo ancora all’album perfetto, infatti perde un po’di vapore verso la conclusione e alcuni puristi possono sostenere che nel complesso sia troppo soft , ma si tratta di un deciso miglioramento. Il variare sapientemente dalle atmosfere rock a quelle folk e tradizionali allontana di molto il temutissimo effetto “già sentito” senza per questo comprometterne la consueta spontaneità e il posto migliore del mondo per ascoltare anche questo disco Celtic Punk rimane il bancone di un irish pub tra le urla degli avventori, gli schiamazzi degli amici di sempre e le innumerevoli pinte di Guinness.
“when the boss comes callin’ they’ll put us down, when the boss comes callin’ gotta stand your ground, when the boss comes callin’ don’t believe their lies, when the boss comes callin’ his take his toll, when the boss comes callin’ don’t you sell your soul, when the boss comes callin’ we gotta organize. Let em know we gotta take the bastards down, let them know we gotta smash them to the ground, let em know we gotta take the bastards down” Da Take ‘em Down