“Aleksandr Rodčenko” e “Realismi socialisti. Grande pittura sovietica, 1920-1970”

Un’arte comprensibile per le masse (Lenin)

 

Come avevamo anticipato nel post sull’esposizione delle opere di Deineka, in occasione delle iniziative per lo scambio culturale Italia-Russia 2011 il Palazzo delle Esposizioni di Roma sta ospitando dall’11 ottobre altre due mostre sull’arte russa del ‘900: Aleksandr Rodčenko e Realismi socialisti. Grande pittura sovietica, 1920-1970. Qualche giorno fa le abbiamo visitate entrambe, approfittando del fatto che, come ogni primo mercoledì del mese, gli under 30 entravano gratis.

Sulla retrospettiva su Rodčenko, organizzata dal Museo Casa della fotografia di Mosca, il nostro commento sarà breve: essa non rende il giusto onore al genio dell’artista, uno dei principali esponenti dell’Avanguardia russa del XX secolo e del costruttivismo russo. La disposizione delle opere – circa 300 tra fotografie, fotomontaggi e stampe vintage – risulta infatti piuttosto disordinata e difficile da seguire: esse sono spesso ammassate e alcune sono disposte talmente in alto sulle pareti che si vedono con difficoltà. Certo, Rodčenko è sempre Rodčenko e fotografie come i ritratti di Vladimir Majakoskij, la serie dedicata allo sport o il poster “Knigi” (“Libri”), pubblicità della casa editrice di stato (vedi), viste dal vivo, sono sempre emozionanti. Ma il merito è tutto di Rodčenko, i curatori gli hanno remato contro. Comunque, una retrospettiva da visitare.

Del tutto diverso è, invece, il discorso sull’altra mostra, la rassegna sui Realismi socialisti (la più grande mai presentata al di fuori dei confini russi), che è straordinaria sia nella scelta delle opere sia nella loro disposizione. Essa è inoltre accompagnata da pannelli esplicativi (stranamente) piuttosto onesti dal punto di vista politico e culturale: non contengono un’apologia dell’Urss, ma sono quanto meno abbastanza equidistanti da permettere di valutare il sistema che rappresentò nella sua complessità.

L’arco cronologico scelto, 1920-1970, ripercorre quasi completamente il periodo dell’esperienza sovietica, durante la quale la sperimentazione economica, politica e sociale coincise con quella artistica. Fin dagli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione, lo stato sovietico sostenne e finanziò migliaia di artisti, provenienti dalle zone più disparate del suo grande territorio multietnico. Nell’intento di diffondere un’arte dal forte contenuto sociale che fosse comprensibile e significativa per le masse (inizialmente in gran parte analfabete) e non solo per una ristretta cerchia di intellettuali, fu esaltata la superiorità del contenuto sulla forma: da qui la nascita del Realismo sovietico che, in opposizione ai movimenti artistici che si proponevano di fare tabula rasa del passato, incoraggiò il recupero di motivi stilistici ed iconografici dell’arte dei secoli precedenti. Un recupero che, tuttavia, non fu mai mera riproposizione, ma sempre sperimentazione e innovazione.

I risultati furono davvero notevoli, sia nel contenuto sia nella resa artistica: basti pensare che alcune delle opere degli anni ’40 (vedi) in alcuni dettagli sono tanto aderenti alla realtà da sembrare quasi delle fotografie e da far andare il pensiero a quelle degli iperrealisti occidentali post-anni ’70.

Ogni artista sovietico rispose in modo diverso – in ambito di tematiche e di approcci formali – alla sfida lanciata dal Realismo socialista. Esso non si presenta come una tendenza monolitica ed univoca e la rassegna dà conto di tutti i differenti risultati raggiunti: da qui il titolo, al plurale, della mostra. Non un’arte grigia al servizio di un regime, dunque, ma dinamismo culturale e sperimentazione continua.

Sono, queste, considerazioni piuttosto innovative: per decenni il Realismo socialista è rimasto al margine delle storie dell’arte complessive del Novecento, considerato non come movimento artistico in quanto tale, ma solo come il mero prodotto di un sistema definito “totalitario”, che avrebbe schiacciato la sperimentazione astratta dell’arte russa pre-rivoluzionaria. Come è ormai noto, tali punti di vista avevano un fondamento ideologico: studi autorevoli, infatti, hanno evidenziato che durante la guerra fredda la CIA e altri servizi hanno tatticamente sostenuto e promosso l’astrattismo, considerato più affine alla promozione dei valori liberali di stampo occidentale.

Le due mostre termineranno l’8 gennaio. Affrettatevi, perché meritano davvero!