La patrimoniale della discordia…
C’era una volta una sinistra riformista ma socialdemocratica. Una sinistra che aveva completamente accettato il mercato e il liberismo economico come sviluppo della società, ma che fondava la sua politica sulla redistribuzione di salari e redditi, colpiti da uno sviluppo economico che creava inevitabilmente diseguaglianze. Una sinistra come poteva essere quella del PCI, di classe ma moderata; riformista ma ancora con l’obiettivo della tutela del mondo del lavoro. Detto questo, una delle classiche proposte che ciclicamente ricorrevano nei programmi di questa sinistra era la famosa tassa patrimoniale. Una tassa che andasse a colpire i patrimoni dei più ricchi, cercando tramite uno strumento fiscale di riaggiustare le contraddizioni insite nel capitalismo. La contraddizione principale, si diceva, era quella che i redditi finivano inevitabilmente per polarizzarsi: molte persone senza soldi e un elite di pochissime persone ricchissime. Per ovviare a tutto questo si ricorreva, tralaltro giustamente in un’ottica riformista, allo strumento fiscale. Togliere un po’ più del normale ai ricchi per ridistribuirlo un po’ più ai poveri. Insomma, quello descritta fin’ora era una politica assolutamente normale, che per decenni è stata utilizzata dai vari governi per mantenere un po’ di unità sociale altrimenti impossibile.
Ora però veniamo a noi e al nostro mondo alla rovescia nel quale viviamo. Succede che il governo, nella sua magica riforma federalista, inserisca di soppiatto una specie di patrimoniale sulle attività dei commercianti. Un governo di destra che propone una patrimoniale per fare cassa, ci sarebbe da ridere. Ora, non sappiamo precisamente con quali criteri, sicuramente sbagliati e anti-popolari, abbia pensato a questa tassa, ma il fatto incredibile è la presa di posizione del sedicente Partito Democratico. Questo partito di strateghi della sconfitta ha addirittura annunciato barricate contro il governo delle tasse, contro lo stato che mette le mani nelle tasche degli italiani e cose del genere. Confermando la sua rinuncia ad una qualsiasi politica di redistribuzione dei redditi, ma soprattutto confermando il suo ruolo di portavoce non del mondo del lavoro, ma di quel ceto medio-borghese che viene visto come bacino privilegiato di voti ad ogni elezione. Eppure qui lo vogliamo dire forte e chiaro: i ricchi sono tenuti, in uno stato democratico, a pagare di più dei poveri, e la tassa in più sulle terze o quarte case al mare degli imprenditori è un sacrosanto diritto, piuttosto che la tassa sulla casa o sul reddito del lavoratore dipendente. Sicuramente la proposta verrà ritirata immediatamente, scontando quel consenso unanime anti-tasse che caratterizza la politica italiana, ma oggi come oggi un partito che dicesse chiaro e tondo che l’uso della tassa patrimoniale è giusto ed è un obiettivo politico da perorare, sarebbe sicuramente un partito veramente di sinistra. Magari moderata, ma di sinistra. Cosa incredibile, nel paese del bunga-bunga…