Le pensioni, l’ISTAT e il fantastico mondo di Barbie…
Se è vero che la manovra da 43/47 miliardi di euro s’adda fare (e su questo qualche dubbio ce lo abbiamo), è altrettanto vero che a pagarla saranno i soliti noti. I lavoratori del pubblico impiego, le risorse per la previdenza e quelle destinate alla sanità.
Diciamo subito una cosa: altro che lacrime e sangue, qui c’è da impazzire e farsi carico, in maniera del tutto responsabile, di un raptus omicida. Per il prossimo anno (il 2012) la manovra prevede lo stanziamento di 5 miliardi di euro, mentre i successivi 40 miliardi testeranno i nervi dei lavoratori italiani nel biennio 2013-2014 (e sarà – probabilmente – compito del futuro governo di centrosinistra quello di incassare la giusta rabbia per questo schifo…).
Fra le molte cose che ci fanno schifo in questa manovra, c’è sicuramente la bozza presentata al Consiglio dei Ministri in cui si auspica di poter avallare l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne (sia quelle impiegate nel settore pubblico che in quello privato) in base all’adeguamento dell’aspettativa di vita che viene calcolata di volta in volta: insomma, dal 2014 (anziché dal 2015) le donne andranno in pensione a 65 anni e gli uomini a 67. Peccato, però, che il calcolo dell’aspettativa di vita (su cui influisce anche la qualità della vita stessa e quindi la possibilità di fruire dei servizi a disposizione della cittadinanza) sia calcolato nel mondo di Barbie&Ken anziché in una normale casa di un cittadino qualsiasi tra la stragrande maggioranza dei proletari italiani: lavoratrici e lavoratori che alla sfida della “fine del mese” oppongono oggi quella della “terza settimana” e degli stipendi arretrati; costretti a turnazioni tanto flessibili quanto misere nelle remunerazioni; precarietà di vite e di lavoro, insomma, che non vengono ovviamente calcolate negli indici Istat, cui continua essere demandato il calcolo dell’aspettativa.
Un’aspettativa falsata, dunque, che non ha la minima ricaduta nel reale; una mendace costruzione architettata ad hoc per insinuare tra la gente l’idea che la qualità della vita migliora, sensibilmente…e come non potrebbe essere altrimenti, con la tecnologia che avanza, le progettualità millantate sulle rinnovabili, le nuove frontiere della ricerca e gli accostamenti tra nuove diete e longevità promossi dall’OMS… un nuovo mondo da poter raccontare ai propri nipoti, senza sofferenze e precarietà, senza diseguaglianze, dove l’arcobaleno spunta quando si va al lavoro a ritirare la busta paga…
Scherzi a parte, più che ad una falsa costruzione di immaginario, sembra essere di fronte ad una mirata decostruzione dell’esistente, con il sistematico accantonamento delle problematiche legate al lavoro, alla fruizione dei servizi e all’effettiva possibilità di godere della propria pensione (ovvero, tanto per ricordarlo, nient’altro che salario differito che spetta di diritto al lavoratore).
Quello che ogni volta ci domandiamo è quanti tra lavoratori e lavoratrici potranno effettivamente godere dei frutti del proprio lavoro; e soprattutto per quanto tempo, vista la progressiva e inarrestabile avanzata dell’età pensionabile che il governo sta criminalmente perseguendo e sponsorizzando.