Steve Jobs e il berlusconismo democratico
Repubblica è parte integrante di questo ventennio berlusconiano, il necessario contraltare al grande capo, lo specchio di un potere neoliberale e liberista incarnato allo stesso modo dai fan di Berlusconi e dai seguaci del partito di Ezio Mauro. Non esiste l’uno senza l’altro, e non è un caso che il giornale sia divenuto “credibile” e letto proprio in concomitanza del potere assoluto del grande puttaniere.
La morte di Steve Jobs lo dimostra meglio di qualunque altra cosa. L’ossessione di Repubblica per il leader è spasmodica. Lo cerca sempre e ovunque, da Saviano a Napolitano ai molti altri, funzionali ad un progetto politico e ideologico perseguito strenuamente da Scalfari &co. Con Steve Jobs però si è toccato un punto di non ritorno, o meglio sono emersi fin troppo palesemente i reali obiettivi del giornale-partito.
Lasciamo perdere le decine di pagine in onore al padrone, i reportage sul giornale e su repubblica.it, gli approfondimenti e i peana tributati al rivoluzionario capitalista. Concentriamoci invece su un assurdo articolo pubblicato sabato scorso a firma di Alessandro Penati, che descrive meglio di ogni altra cosa quale siano gli obiettivi del giornale, e di conseguenza di tutta l’area politica “d’opposizione” a cui fa riferimento, visto che Repubblica rappresenta l’opinion maker di tutta l’area centrosinistra.
Secondo Repubblica, Steve Jobs non sarebbe mai potuto nascere in Italia. Perché? Presto detto:
1) “Jobs non si è laureato: ha abbandonato gli studi per fondare la Apple. Da noi si passa sei anni a studiare economia all’università…mettersi in proprio è un incubo, non un sogno.”
Dunque, il problema italiano è che si studia troppo invece di immettersi subito nel mercato del lavoro. Messa così non suonerebbe neanche male, non fosse che l’obiettivo non-detto ma evidente di Penati è un altro, e cioè: cosa studiate e fare, l’importante è fare soldi! Jobs è andato a lavorare a 21 anni, voi dovete andarci prima e se l’Italia va male è per colpa dell’Università.
2) “Jobs ha cominciato l’attività in un garage. Da noi…il garage non avrebbe rispettato le norme di sicurezza;”
Da qui in poi, avvertiamo, è un crescendo di assurdità di cui questa è solo la prima. Insomma, ecco dov’è il problema dell’Italia, le norme di sicurezza sul lavoro troppo severe, che soffocherebbero sul nascere lo spirito animale e imprenditoriale dei nostri giovani. E’ anche faticoso proseguire, a pochi giorni di distanza dalla tragedia di Barletta che ha mostrato evidentemente quale sia il livello di controllo e di repressione del lavoro nero e non tutelato (cioè zero). Il problema, semmai, è che in Italia di “garage” dove lavorano persone in nero o precarie ce ne sono fin troppi, e qualche volta qualcuno ci muoiono dentro.
3) “Jobs ha portato la Apple in borsa nel 1980, appena quattro anni dopo la fondazione, per crescere. La finanza genera bolle…ma aprono anche la prospettiva di grandi profitti senza i quali non ci sarebbe l’incentivo a finanziare gli investimenti…Da noi nessuno rischia nel venture capital.”
Contrordine compagni! La finanza è una cosa buona, altro che crisi e finanziarizzazione selvaggia dell’economia. Il problema italiano è che si investe poco in borsa, si specula ancor meno e nessuno si arrischia nei famigerati venture capital, che farebbero grande il nostro paese. Ripetiamo, non è uno scherzo, tutto questo è stato pubblicato su Repubblica!
4) “Nel 1985 Jobs è stato estromesso dalla Apple. Per comandare in azienda non basta averla fondata: bisogna dimostrare agli azionisti di essere sempre i più bravi.”
No, continua a non essere uno scherzo. E’ la visione del mondo centrosinistra. Chi non fa guadagnare gli azionisti che giocano con il culo dei lavoratori delle imprese, dev’essere mandato via, licenziato, anche malmenato se possibile. E non importa che ti chiami Steve Jobs o sei uno sfigato lavoratore dipendente: il licenziamento è sempre dietro l’angolo, devi sempre creare profitto per chi specula in borsa, per gli azionisti, l’unico parametro di riferimento rimasto nel capitalismo selvaggio promosso da Penati e da tutto il quotidiano.
5) “Jobs comandava in Apple con lo 0,6% del capitale. Una fetta minuscola di una torta gigantesca. Da noi si comanda perché si ha il controllo…”
Pensa che stronzi. In Italia il capitalismo è una merda perché i padroni controllano direttamente le imprese che portano avanti, invece di possedere, con piccolissime quote, numerose imprese, così da poter generare più profitto per gli azionisti. Ribadiamo, non è una barzelletta: dopo anni di critica feroce al sistema di scatole cinesi, di controlli incrociati, di partecipazioni multiple (che hanno portato, fra gli altri, al crak Parmalat), oggi la via d’uscita e il modello da seguire sarebbe proprio quello: controllare il maggior numero di società con il minor capitale investito possibile. Così, se va male al padrone, perderà il suo 0,6%, mentre l’operaio che produce l’i-pad verrà licenziato al 100%.
6) “La Apple delocalizza ed esternalizza la produzione in Asia e in paesi a bassa fiscalità. Da noi verrebbe accusata di scarso senso sociale.”
In questa sintesi di capitalismo neoliberista – che farebbe impallidire Friedman e Hayek – questo è l’apice. E’, in fin dei conti, l’obiettivo, sottaciuto ma promosso culturalmente, la vera operazione mercatista e ideologica di questi decenni. Il lavoro è un costo che dev’essere abbattuto. Il terzo mondo, fortunatamente, è pieno di schiavi che possono produrre a bassissimo costo ciò che noi non possiamo più permetterci di produrre. “Paesi a bassa fiscalità” li chiama questo maiale di Alessandro Penati, e segnatevi bene il nome, perché è importante ricordarsi di chi poi ci narra le malefatte del berlusconismo, di chi ci andrà a chiedere fra qualche mese il nostro voto per governi che metterebbero in pratica le ricette fin qui espresse. La ricetta è questa: bisogna delocalizzare in Asia, e noi siamo in crisi perché ancorati a vecchi modelli di sviluppo che vorrebbero le tutele per i lavoratori, più diritti e salari decenti. Il capitalismo del futuro è un altro, e noi o ci adeguiamo e scompariamo.
7) “Un’Apple è possibile nel capitalismo di mercato americano. Da noi no.”
Serve ancora commentare?
Dedicato a tutti i lavoratori sfruttati e sottopagati delle fabbriche della Apple