Il governo della repressione
Il bisogno di normalizzazione economica va a braccetto con quello della repressione sociale. Non era necessario attendere la lista dei ministri (oltre ai banchieri, due generali e un prefetto) per capire che quello appena varato è anche il governo delle guardie. Infatti, proprio una settimana fa la repressione si è abbattuta sul movimento: il pretesto, la manifestazione del 14 dicembre scorso a Roma (leggi e leggi).
Con perfetta scelta di tempo, il nuovo governo è sorto più o meno contemporaneamente ad una serie di denunce nei confronti nostri e di quelle strutture che avevano contribuito ad organizzare la manifestazione dello scorso anno, sfociata poi negli scontri di piazza del Popolo. Non rinneghiamo nulla di quella giornata, ma non possiamo non porci alcune domande su questo strano “timing” repressivo.
Quello che sappiamo, o intuiamo, è che è in corso una lotta interna fra polizia, digos e ministero dell’interno, che si addossano reciprocamente le responsabilità per quello che è successo a Roma il 14 dicembre 2010 e che si è ripetuto un anno dopo, il 15 ottobre. Un rimpallo di responsabilità dovuto alla chiara frustrazione per non aver potuto avviare quell’ondata repressiva che tutti i media si auguravano nei giorni seguenti tali eventi. Una repressione impossibile, visto che, come diciamo dall’anno scorso, la rabbia sfociata il 14 dicembre e il 15 ottobre è stata assolutamente disorganizzata, incontrollata e non premeditata da alcuna struttura politica. La piazza, scavalcando le strutture, si è espressa senza nessuna organizzazione, e dunque anche per la repressione è stato difficile colpire chi, nei fatti, non ha organizzato quegli eventi. Il giochetto di denunciare i “capi” ha smesso di funzionare. Il 14 dicembre si sono trovati davanti a due possibilità: o arrestare tutta la piazza, o rimanere, come infatti è avvenuto, con un pugno di mosche in mano.
Di fronte ad una situazione simile, al di là dei (relativamente pochi) fermi avvenuti direttamente in piazza, è stato impossibile, anche per gli inquirenti, risalire al grande “organizzatore”, visto che non esiste. Tutto questo ha portato alla frustrazione espressa la scorsa settimana con queste ventisei denunce, che coinvolgono compagni presi a casaccio: la digos, non sapendo dove e chi colpire, si è scagliata contro i soliti noti, pescando nomi nella solita lista di denunciati tanto per far vedere che a qualcosa serve e per dare il contentino al ministero e all’opinione pubblica.
L’altra grande motivazione delle denunce a scoppio ritardato è appunto il varo del nuovo governo. Dev’essere chiaro che con il governo tecnico nessuna forma di dissenso può essere prevista, che la stretta repressiva sarà fortissima e che questo è solo l’antipasto. Che le opposizioni, quelle vere, oggi sono più sole che mai e che la repressione avverrà col beneplacito di tutte le forze politiche presenti nelle istituzioni. Nessun compagno avrà più margine di manovra o di mediazione perché è finito il tempo della mediazione. Oggi il consenso dev’essere unanime, e chi si pone fuori dal perimetro politico del governo tecnico non avrà possibilità di movimento. Sarà tollerato il dissenso fisiologico, quello funzionale, di cui necessitano tutte le democrazie per potersi definire tali, ma quando questo oltrepasserà il mero livello formale, la repressione sarà l’unica risposta dello stato.
Ci attendono tempi grami, questo è solo l’inizio. Per quanto ci riguarda, invece, non saranno certo qualche denuncia in più o in meno, qualche invito alla delazione o qualche richiesta di controllo poliziesco (leggi) a farci cambiare idee e posizioni. Seguimos en la lucha…