Sciopero!

Sciopero!


Lo scorso lunedì chi aveva la ventura di muoversi per Roma per lavoro, per motivi familiari o solamente per svago, è rimasto sostanzialmente bloccato. I mezzi pubblici fermi in più di un quadrante della città, anche le automobili in coda, soprattutto nella zona Est. Cosa è successo? Questa volta non era colpa dei “black bloc”, né di due ore di pioggia, né di quelle foglie che, ostinate e forse persino comuniste, ogni autunno si ostinano a cadere, solo per fare uno sgarbo ad Alemanno, che governa la città senza far pulire i tombini. No, questa volta sono stati i lavoratori dell’Atac a bloccare Roma. Lo hanno fatto – dopo che su qualche linea la vertenza era iniziata da tempo – improvvisando uno sciopero e un sit-in di fronte alla sede di via Prenestina, una delle poche rimaste a un’azienda che sta vendendo tutto il vendibile (ai soliti palazzinari e al solito prezzo regalato), ma che conta ancora 12mila dipendenti. Gli stessi che si sono visti comunicare dall’azienda la decisione di non applicare più i contratti integrativi (vecchi di dieci anni, peraltro): ciò significa meno salario (fino a 400 euro in meno ogni mese) e più ore lavorative (da 37 a 39). Se fosse un film si intitolerebbe “L’inculata perfetta” e gli attori non protagonisti sarebbero i sindacati confederali, che l’altro giorno si sono svegliati stupiti come Alice nel paese delle meraviglie, cercando affannosamente di correre dietro ai lavoratori che avevano preso l’iniziativa. Autisti e manutentori dell’Atac, infatti, si erano ben guardati dal contattarli hanno agito direttamente, in prima persona, dando un segnale forte all’amministrazione dell’azienda e al Comune di Roma. I due enti, infatti, sono legati da un filo doppio: Alemanno è il sindaco di Parentopoli e proprio l’Atac è l’azienda che ha subito più di tutte le altre municipalizzate la violenza di assunzioni inutili e senza un criterio che non fosse quello clientelare.
Figli, nipoti, amanti e gli immancabili “amici degli amici” della giunta di Alemanno sono andati ad aggravare il bilancio di un’azienda che continua, invece, a umiliare i lavoratori, esposti a rischi continui nel guidare mezzi pubblici simili a residuati di guerra, senza la possibilità di prendere ferie per la carenza di personale (anche perché i beneficiati di Alemanno non si prendono mica la briga di andare a lavorare, ovviamente) e ultimamente sottoposti a quello che sembra il “nuovo gioco dell’estate”, seppure in ritardo. Promosso dall’unico vero partito di centro-sinistra di questo Paese (quello che gira intorno a “Repubblica”), consiste nell’incentivare i lettori-delatori-infami ad acquattarsi dietro la cabina del conducente, foto-telefonino in pugno, e attendere come arpie che il conducente in questione faccia una telefonata o mandi un messaggio con il suo cellulare (spesso, tra l’altro, per dialogare con un collega e cercare di capire perché quella strada è interdetta al passaggio), per poi inviare la foto trionfante al sito di “Repubblica”. Quest’ultimo la metterà con grande risalto in home page, tra le trecento vittime del terremoto in Turchia e gli insulti di Israele contro la Palestina, chiedendo espressamente una sanzione economica, il licenziamento e cento frustate per il conducente disattento. Ovviamente, nessuna parola sul fatto che un lavoratore dei mezzi pubblici, soprattutto nelle grandi città, sia sottoposto a un carico di responsabilità enormi, a fronte di stipendi da fame e incomparabilmente più bassi di quelli dei colleghi che hanno avuto la fortuna di essere assunti dall’azienda qualche anno prima. Con l’assurdità di avere fianco a fianco lavoratori che fanno lo stesso lavoro, ma che prendono diverse centinaia di euro in meno a fine mese. Sia chiaro: non siamo malati di “benaltrismo”, cioè non assumiamo la prospettiva di chi dice, a prescindere, “i problemi sono altri, non che un autista telefoni o sia sgarbato con un utente”. Si tratta, infatti, di attività e atteggiamenti obiettivamente sbagliati, ma di portata incomparabilmente minore rispetto all’attacco al lavoro dipendente che viene portato soprattutto contro gli ultimi lavoratori organizzati che ancora esistono. Cioè quelli che lavorano in grandi aziende, che sono sindacalizzati e tendenzialmente consapevoli dei propri diritti. Quantomeno, sicuramente consapevoli del lavoro di merda che affrontano ogni giorno. Lavoratori, tra l’altro, che hanno un forte potere di ricatto, dal momento che una città bloccata per lo sciopero (improvviso o meno) dei mezzi pubblici è un fatto tangibile per tutti.
Il fatto che un giornale “progressista” abbia avviato l’ennesima campagna denigratoria nei loro confronti – come nei confronti di ogni lavoratore dipendente – non fa che produrre l’ennesima quadratura del cerchio.