Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
Visto il dibattito animato dal post precedente abbiamo pensato di recensire subito un altro libro della stessa casa editrice… scherzi a parte, poche settimane fa i tipi della DeriveApprodi hanno mandato alle stampe un agile quanto denso volumetto sulla vertenza intorno allo stabilimento di Pomigliano redatto dal gruppo lavoro del Centro Studi per la Riforma dello Stato. Diciamo subito che lo riteniamo una lettura ed un contributo utilissimi per quanti vogliamo approfondire la questione partendo da un punto di vista volutamente “parziale”, ovvero il nostro, quello degli sfruttati. Una prospettiva, quindi, diametralmente opposta a quella che ha animato in questi mesi la campagna monocorde dell’intero sistema informativo italiano. Per quanto ci riguarda uno dei maggiori pregi di questo libro è senza dubbio la capacità con cui gli autori riescono in poche pagine e con estrema efficacia ad operare un salto in basso, comprendendo bene, al contempo, la necessità di farne anche uno in alto. Nel volume vengono infatti descritte minuziosamente le ricadute concrete del “progetto Fabbrica Italia” in termini di intensificazione di ritmi e carichi di lavori per gli operai della FIAT, viene analizzata la flessibilità interna e lo sconvolgimento dei ritmi di vita operati attraverso la modifica della turnazione, viene svelata la filosofia che c’è dietro alla cosiddetta partecipazione, ma al tempo stesso si coglie e si analizza anche l’aspetto più paradigmatico e generale di questa vicenda. C’è stato un tempo in cui i proletari erano arrivati a rivendicare il salario come variabile indipendente, oggi, nonostante la crisi, o forse proprio in virtù della stessa, è il Capitale a voler imporre profitto e rendita come variabili indipendenti. C’è stato un tempo in cui i lavoratori gridavano di volere tutto, oggi è Marchionne a farlo. C’e stato un tempo in cui il movimento operaio era internazionale e si trovava di fronte dei capitalismi nazionali, oggi di fronte al capitale-mondo sono gli operai ad essere divisi e “territoriali”. Tre paradossi da cui ci sembra che gli autori muovano per provare a leggere il portato ideologico dell’operazione lanciata dall’uomo col maglioncino blu. Perché tra quel tempo ed oggi sono passati trent’anni, tre decenni di politiche neoliberiste che hanno frantumato, scomposto, disperso e reso politicamente invisibile il Lavoro. Tanto che la crisi in corso finisce per divenire per i padroni “una sorta di tempesta perfetta” attraverso cui provare a “sbarazzarsi una volta per tutte dell’ultimo lascito della fase ascendente della lotta di classe: il contratto nazionale” partendo dalla presa delle roccaforti del conflitto di classe, Pomigliano appunto, per arrivare poi a rendere socialmente accettabile la totale ri-mercificazione del lavoro. Insomma, un uso capitalistico della crisi che arriva a prescrivere come ricetta per uscire dalla stessa… la costruzione di una società ancora più neoliberista di prima. Ed è in questo scenario desolante che esplode inaspettato (per i media mainstream) e fragoroso il rifiuto degli operai di Pomigliano al plebiscito padronale attraverso una mobilitazione che riesce a riportare il lavoro al centro dell’agenda politica. Anzi, come scrivono giustamente gli autori, il movimento “Pomigliano non si piega” diventa una lezione di politica e per la politica. Una lezione che riesce a provocare divisioni nel campo avversario e che ribadisce la capacità del lavoro operaio di “dare un centro al pluriverso del lavoro contemporaneo”, così come la manifestazione del 16 ottobre ha dimostrato. Una lezione, ci avvertono giustamente gli autori, che però non può essere lasciata cadere nel vuoto.
Nuova panda, schiavi in mano/DeriveApprodi/12 euro