Stato e rivoluzione… e la santa inquisizione
Domenica scorsa, in occasione del presidio convocato sotto il carcere di Rebibbia dall’Assemblea Contro il Carcere e la Repressione, abbiamo avuto modo di intervistare brevemente il compagno Ernesto Morlacchi rispetto all’assurda vicenda che ha coinvolto suo fratello Manolo, Costantino ed altri compagni. Quella che segue è la trascrizione di questa interessantissima chiacchierata.
Militant – Puoi raccontarci quando è iniziata la vicenda giudiziaria di Manolo e Costantino?
Ernesto – Tutto è iniziato il 10 giugno del 2009 con la prima ondata di arresti e perquisizioni in tutta Italia. All’epoca venne fatta una grossa operazione di polizia che portò in galera una serie di compagni che vennero prima tradotti nelle carceri di Marassi e di Rebibbia per i primi interrogatori di garanzia e successivamente spediti a Siano (Catanzaro). Altri militanti, tra cui Manolo, Costantino e il sottoscritto, furono prelevati e portati in questura insieme ad alcuni compagni di Milano, oltre ad alcuni liguri e sardi, e in quell’occasione ci venne comunicato di essere “semplicemente” indagati a piede libero, diciamo così, con l’accusa di fare parte di una associazione sovversiva denominata “per il comunismo, Brigate Rosse”. A quanto dicono i PM romani che hanno sviluppato questa inchiesta, tale organizzazione, che presenterebbe alcune differenze rispetto alle “Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente”, voleva tentare di riorganizzare l’area della lotta armata dopo la debacle della sparatoria sul treno e l’arresto della Lioce. Nell’ordinanza del 10 giugno il PM sottolineava inoltre come ci fosse la volontà di un avvicinamento, da parte di questa presunta neonata organizzazione di tipo brigatista, a ciò che rimaneva delle BR-PCC.
Militant – Quali sono adesso le condizioni carcerarie di Manolo e Costantino? Abbiamo letto che sono stati da poco trasferiti anche loro a Siano.
Ernesto – E’ vero, sono stati trasferiti a Siano lo scorso venerdì, e se oggi siamo qui con questo presidio, che abbiamo comunque voluto mantenere anche dopo la notizia del trasferimento, è per chiederne la liberazione e per cercare di fare pressione affinché almeno migliorino le loro condizioni detentive. Considerate che fino a quando si trovavano qui a Rebibbia i compagni erano detenuti nella sezione transito, visto che questo carcere non ha un reparto per il tipo di reato di cui erano accusati. Ovvero un reato associativo di tipo eversivo. Non essendoci dunque una sezione ad alta sorveglianza come previsto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) del signor Franco Ionta, Manolo e Costantino si trovavano nella sezione transito dal 18 gennaio, in condizioni assolutamente disumane. Chiusi in cella per 22 ore al giorno e in completo isolamento, senza la possibilità di socializzare con nessuno. Privati di tutti i diritti basilari di cui una persona dovrebbe godere pur nello stato di detenzione. Due giorni fa, dopo diverse assemblee organizzate a Milano e dopo che avevamo indetto questo presidio, le autorità carcerarie sentendo la nostra pressione hanno pensato finalmente di trasferirli. Anche se in realtà dovremmo dire deportali, visto che pure loro sono finiti nel carcere di Siano, ancora più lontani dai loro familiari e dai loro compagni. >E questo perché, come dicevo, il DAP con la questione della differenziazione punta proprio a questa frammentazione: a Siano ci sono i comunisti accusati di associazione sovversiva, ad Alessandria ci sono gli anarchici, e così via… tentano questa differenziazione all’interno del carcere per renderlo ancora più disumano. Almeno però ora speriamo potranno socializzare con gli altri detenuti, fare finalmente le due ore d’aria giornaliere nei cortili e non nei cubicoli come quando erano qui a Rebibbia. Ma non ci fermiamo certo qui. Ad esempio l’avvocato Flavio Rossi Albertini sta lavorando a un libro bianco sul lavoro della procura romana che ormai da anni apre queste inchieste, le riempie di teoremi inconsistenti e poi fa fare mesi e mesi di custodia cautelare ai compagni più visibili all’interno del movimento e delle lotte. Una delle cose più “inspiegabili” di questi provvedimenti è proprio il fatto che dal 10 giugno del 2009 a quando sono stati arrestati sono trascorsi in realtà ben sette mesi. Loro parlano di pericolo di reiterazione del reato e di pericolo di fuga, ma in questi mesi i compagni si sono mossi anche fuori dall’Italia, sono usciti e rientrati più volte, e se avessero voluto fuggire lo avrebbero fatto. Quindi non c’era nessun “pericolo di fuga” che potesse giustificarne in alcun modo la custodia cautelare. Così come era impensabile che potessero anche solo immaginare di “reiterare” un presunto reato per cui sapevano di essere indagati e attenzionati. Il fatto è che nonostante questi signori avessero pensato di fermarli, di impedirgli di partecipare alle lotte, Manolo e Costantino sono comunque stati sempre presenti e lo hanno fatto alla luce del sole: contro l’assedio a Gaza e l’operazione Piombo Fuso, nelle mobilitazioni delle fabbriche a Milano e nella solidarietà coi compagni del 10 giugno. Questa cosa ha evidentemente dato fastidio e sono stati incarcerati anche per questo motivo. L’assurdo, in buona sostanza, è che sono accusati di essere dei comunisti.
Militant – Hai parlato della visibilità dei compagni, l’inchiesta che ha portato alle notifiche del giugno scorso e poi all’arresto di gennaio parte nel 2007, anno di pubblicazione del libro scritto da Manolo, La fuga in avanti, che narra la storia di Pierino Morlacchi, proletario del Giambellino. E’ una casualità, è un’operazione ad orologeria, che impressione avete al riguardo?
Ernesto – Il libro ha dato sicuramente molto fastidio alle centrali della repressione preventiva. Lo abbiamo presentato in tutta Italia e questo ci ha permesso di conoscere molti compagni, ricevere la loro solidarietà e soprattutto di incontrare la voglia di provare a leggere in maniera differente il fenomeno della lotta armata e della presenza dei proletari all’interno delle organizzazioni combattenti degli anni 70. Il libro è infatti incentrato sulla figura di mio padre, Pierino Morlacchi, sulla sua famiglia, sui suoi fratelli e su tutta quella componente proletaria che è stata importantissima a Milano nella fondazione del primo nucleo delle BR. Questa cosa si evidenzia anche all’interno delle ordinanze in cui i PM dicono che il libro è stato in sostanza un pretesto per poter poi fare proselitismo in funzione della costruzione di un’organizzazione di stampo brigatista. E’ chiaro che tra tutte le assurdità questa è una delle più grosse. La vera questione è che secondo loro delle BR e dell’esperienza della lotta armata in Italia non si dovrebbe parlare in questi termini. Ci imputano di non aver preso in alcun modo le distanze da quell’esperienza, dai nostri genitori e dai nostri familiari. Ma noi non abbiamo bisogno di liberarci di nulla, non abbiamo nessun “fardello” da sopportare. Noi nel libro abbiamo parlato di come da bambini vedevamo i nostri genitori, di come li reputassimo delle grandi persone, dei rivoluzionari che avevano anteposto le sorti collettive della classe alle proprie singole esistenze. Per noi sono comunque stati un esempio e questo libro ne è una testimonianza.
Militant – In generale, cosa pensate di questo fiorire di teoremi che per quanto infondati costano anni di carcere preventivo
Ernesto – Come dicevo prima, con il libro bianco stiamo cercando di mettere insieme i dati per capire qual è il modus operandi delle procure, in particolare quella di Roma o quella di Milano che con Salvini e la Boccassini hanno portato dentro i compagni con l’operazione denominata “tramonto” del 12 febbraio del 2007. Compagni che sono poi stati condannati complessivamente a più di 110 anni di carcere per reati associativi, senza aver materialmente fatto nulla. L’idea è che lo Stato sia oggi indirizzato verso la repressione preventiva, utilizzando il 270 bis come una sorta di contenitore che gli permette di prendere di volta in volta i compagni più visibili all’interno del movimento, magari quelli con posizioni più radicali, comunisti, anarchici… E gli si fa fare tutta la custodia cautelare, così come prevede il 270 bis, proprio per tagliare le gambe al risorgere dei fermenti di lotta. Il dato incredibile che una volta concluso l’iter processuale la percentuale di assolti è altissima. Dopo i proscioglimenti, però, si aprono altre inchieste, loro le chiamano gemmazioni, ossia altri contenitori “associativi” in cui vengono spinti altri compagni. E chiaro come uno dei loro obiettivi sia quello di spezzare il filo rosso che unisce questi compagni alle lotte di massa. Il rischio è che tutti prima o poi possano essere presi e catapultati in un carcere esclusivamente sulla base delle proprie idee politiche rivoluzionarie.
Militant – Un ultima cosa, abbiamo sentito che una delle cose che viene imputata a Manolo e Costantino è di possedere a casa una copia di Stato e Rivoluzione di Lenin, è vero?
Ernesto – Si, si, è proprio così, Ma questo è solo uno degli esempi delle assurdità su cui poggia questa inchiesta. Addirittura sono stati tirati fuori dei documenti del 95, di quando eravamo degli studenti e in cui parlavamo della lotta di classe e della necessità di ricomporre le coscienze per cercare di combattere questo stato e le sue prigioni. Ebbene loro sostengono che questi documenti contenevano già il germe della violenza che poi avrebbe portato alcuni compagni a prendere la strada della lotta armata. E secondo loro anche Stato e Rivoluzione conterrebbe questo germe della violenza perché, appunto, parla della lotta di classe e della necessità di abbattere il capitalismo. Quindi, a dir loro, se uno tiene in casa un testo di questo genere non può essere che un violento e un sovversivo. Ma le assurdità, come ho detto, non finiscono certo qui. Ci sono compagni indagati perché parlando fra di loro nominavano mio fratello utilizzando il suo nome di battesimo e non il cognome, e questo è stato ritenuto sufficiente ad ipotizzarne una vicinanza solidale e politica a Manolo e a questa fantomatica organizzazione armata.