Con mi 30-30 me voy a marchar…
A 100 anni dalla rivoluzione messicana riproponiamo un interessante articolo pubblicato due giorni fa sulle pagine culturali del Corriere della Sera (eh si, ogni tanto capita anche questo). Si tratta di una breve intervista allo scrittore Paco Ignacio Taibo II per cui non nascondiamo una grande ammirazione e a cui si deve, tra le altre cose, quella che forse è la più bella biografia del Che, Senza perdere la tenerezza.
<Sapete perché a Città del Messico sono così frequenti i terremoti?>. Paco Ignacio Taibo II, scrittore e storico, ride sotto i baffi tra un sorso di Coca Cola e l’altro. Poi la risposta: <A centro della città c’è gigantesco monumento celebrativo della rivoluzione. Nei pilastri che lo reggono sono inumate le salme dei protagonisti: Francisco Madero, Pancho Villa, Venustiano Carranza, Plutarco Eliàs Calles. Sono insieme, perché il regime postrivoluzionario si proclamava erede di tutti loro. Ma da vivi non andavano per niente d’accordo. E pare che litighino furiosamente anche da morti. Tanto da far tremare la terra>. E’ passato un secolo dalla rivoluzione, scoppiata il 20 novembre 1910 contro la dittatura di Porfirio Dìaz, ma la memoria di quegli eventi è ancora contrastata. Taibo, nato in Spagna ma messicano d’adozione, ne è un testimone privilegiato, visto che a lui si deve la fondamentale biografia narrativa di Villa Un rivoluzionario chiamato Pancho (Marco Tropea). <Per molto tempo – spiega – il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) ha monopolizzato il potere: aveva tutti i deputati, i governatori, i sindaci. E raccontava una storia falsa, in cui gli acerrimi nemici Villa e Carranza, l’estrema sinistra e l’estrema destra della rivoluzione, si tenevano per mano come i nani di Biancaneve. Oggi la situazione politica è cambiata, ma le celebrazioni per il centenario della rivoluzione, che coincide con il bicentenario dell’indipendenza (1810), sono vuote, puramente retoriche. C’è un gran frastuono mediatico, senza nessun approfondimento serio>. Tra la gente però, aggiunge Taibo, l’interesse per la storia è grandissimo: <E’ appassionante il modo con cui i messicani di tutte le classi sociali discutono della rivoluzione. I miei vicini di casa mi fermano per parlarne, si formano capannelli agli angoli delle strade. Si tengono conferenze nelle piazze e nei parchi. Specie nei ceti più umili la memoria della rivoluzione resta viva, anche se è ricordata come una sconfitta, perché alla fine il centro moderato di Calles e Alvaro Obregòn prevalse sulle istanze sociali di Villa e Zapata Ma è normale trovare nella piccola e sporca officina di un meccanico, accanto alle foto di belle ragazze in bikini, un enorme poster di Villa>. D’altronde i leader rivoluzionari radicali venivano dalle classi povere del popolo: <All’inizio la rivolta vittoriosa contro Dìaz è solo politica. La guida Madero, liberale onesto ma ingenuo, vegetariano e spiritista che viene rovesciato e assassinato dal golpe militare di Victoriano Huerta, un generale con il monocolo, alcolizzato perso e gran fumatore di marijuana. Contro di lui l’insurrezione si radicalizza, invoca la giustizia sociale. Se ci si chiede chi sono i comandanti dell’esercito contadino che entra trionfalmente a Città del Messico nel 1914, la risposta è impressionante: Villa, capo rivoluzionario del Nord, è un ex bandito; Zapata, leader del Sud, è un amministratore locale di origine contadina, attento ai bisogni degli indigeni. Poi Rodolfo Fierro è un ferroviere, Tomàs Urbina un ex ladro di bestiame, altri sono stallieri o agricoltori. Quasi tutti pochi anni prima erano analfabeti. Mancano del tutto gli intellettuali che hanno animato altre rivoluzioni europee e asiatiche>. In effetti Villa è spesso raffigurato, specie nei film, come un rozzo avventuriero <Sì, magari lo fanno vedere sempre sbronzo, mentre in realtà non beveva alcol. Il cinema sulla rivoluzione messicana è un disastro. Ma anche gli studiosi hanno capito poco. Per i professori marxisti Zapata, che chiede di ripartire i latifondi tra i villaggi rurali, dando la terra a chi la lavora, è comprensibile, ma Villa no, è estraneo ai loro schemi. In realtà i migliori resoconti della rivoluzione messicana sono nei romanzi, come Quelli di sotto di Mariano Azuela (tradotto da mondadori nel 1945, ndr) o le opere di Martin Luìs Guzmàn e Nellie Campobello>. Come descrivere allora la politica di Villa? <Secondo me assomiglia al comunismo di guerra dei bolscevichi, anche se Pancho non amava Lenin, lo considerava un pazzo. Villa puntava sull’istruzione, fece costruire numerose scuole. Militarizzò gli allevamenti di bestiame per distribuire cibo a prezzi politici, ribassati di dieci volte: i poveri del Messico non hanno mai mangiato tanta carne come allora. Era affascinato dalla modernità: fece allestire decine di convogli ferroviari per trasportare le truppe, compresi alcuni treni ospedale per soccorrere subito i feriti, e aveva anche una squadriglia aerea, i falconi dorati>. Taibo s’infervora: <Provate a immaginare lo spettacolo dell’esercito di Villa all’assalto della città di Zacatecas, nel 1914. Settanta treni militari, con le locomotive che bruciano legna (Carranza, alleato infido, non forniva carbone), innalzano un’altissima colonna di fumo nero. Davanti avanza un schieramento di cavalleria ampio quattro chilometri, che solleva immense nubi di polvere. Durante la carica i villisti si arrestavano per sparare con i fucili e l’ultimo tratto lo facevano con le redini tra i denti e due revolver nelle mani. Peggio degli unni di Attilla. A vederli veniva la tremarella>. Huerta fu sgominato, poi esplose il dissidio tra i rivoluzionari. Carranza e Obregòn da una parte, Villa e Zapata dall’altra. In tutto dieci anni di guerra civile, con circa un milione di morti. La situazione si stabilizzò nel 1920, quando Zappata era già stato ucciso. Villa si ritirò, ma fu assassinato in un agguato nel 1923. E le turbolenze proseguirono a lungo con un picco tra il 1926 e il 1929, la guerra cristera: <I Cristeros erano ribelli cattolici di tendenza oscurantista, come i vandeani francesi. In quello scontro s’intrecciarono due conflitti: malessere contadino per il ristagno delle riforme sociali e l’offensiva dei governanti massoni, Calies e Obregón, contro il potere della Chiesa. La repressione fu violenta, ma anche gli insorti erano feroci. Nei villaggi tagliavano le orecchie ai maestri di scuola e li impiccavano ai fili del telegrafo, perché vedevano nell’istruzione un’opera del demonio. Quella cristera fu una rivolta popolare e al tempo stesso reazionaria, a dimostrazione che il Messico è sempre fuori dagli schemi>.
di Antonio Carioti