Consigli (o sconsigli) per gli acquisti

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti

Domenica pomeriggio. Il frigo vuoto e l’istinto di conservazione ti spingono a procacciarti il cibo assecondando quegli imput genetici che non ti rendono poi così dissimile dai tuoi progenitori neanderthaliani. E visto che nei paraggi non ci sono nè boschi da battere nè selvaggina da rincorrere, per placare i succhi gastrici hai solo due soluzioni: accontentarti dell’ennesimo kebab, oppure sfidare i carrelli stracolmi, i bambini urlanti, le folle adoranti disposte a sacrificare i loro miseri salari sull’altare del Dio Mercato, e infilarti nell’iperluogo postmoderno per eccellenza, il centro commerciale vicino casa. Come il tuo antenato, da bravo cacciatore-raccoglitore ti aggiri tra gli scaffali afferrando solo quello di cui hai strettamente bisogno, cercando (non sensa fatica) di resistere alle sirene del consumo, alle etichette sgargianti che ti promettono una felicità low cost, alle offerte “irrinunciabili” dei 3×2, ai “prendi adesso e paghi da gennaio prossimo a zero interessi”. In pieno delirio mitopoietico ti senti Ulisse, legato all’albero maestro dei tuoi principi e cerchi di rimanere insensibile alla musichetta in filodiffusione, alla luce artificiale, alla temperatura controllata, a questo simulacro di mondo virtuale dove tutto sembra andar bene… fin quando il flusso dei carrelli non ti spinge nel reparto libri. Fra pile di Wilbur Smith e Michael Crichton, dietro le caterve di best seller con copertine brossurate laminate in oro, più in la dei cumuli di Harry Potter e oltre la montagna dei manuali di cucina e di psicoanalisi fai da te, in un angoletto trovi la cesta di libri in svendita: 2 per 5 euro. “Ma dai” ti chiedi “cosa potrà mai esserci di interessante? Vabbè, per cinque euro vale la pena rovistare.” E così, quasi per caso, ti ritrovi in mano questi due volumi editi dalla Marco Tropea. La biografia dello scrittore è garanzia sufficiente all’acquisto e alla “scommessa”: argentino, compagno, esule. Così, prima che il processo di alienazione prenda il sopravvento esci finalmente dal ventre della bestia e te ne ritorni a casa smozzicando una baguette, sfogliando incuriosito i tuoi due nuovi acquisti. Due grandi acquisti. Ma questo lo saprai solo dopo aver impiegato ogni minuto libero dei due giorni successivi a divorarne una pagina dietro l’altra. Il primo libro, il passo della tigre, racconta di Aguirre, un poliziotto immerso nell’Argentina disillusa di Menem, infiltrato li anni prima dai tupamaros nella previsione di una rivoluzione che non sarebbe mai scoppiata, ma che avrebbe conosciuto la repressione di una dittatura feroce. Un uomo che in una Buenos Aires ridotta alla fame si vergogna del lavoro che fa, anche se non può lasciarlo, e cerca di difendere la propria dignità aiutando una nonna, una madre de plaza de mayo, a ritrovare suo nipote rapito dai militari. Involontariamente Aguirre si troverà invischiato in una guerra intestina tra alti dirigenti corrotti, eletto a capro espiatorio da eliminare ad ogni costo, coinvolto in un traffico di prostitute che lo porterà fino in Messico, e in tutto questo bailamme verrà accompagnato dal immancabile pantheon di personaggi surreali di cui abbonda la narrativa latinoamericana. Un peronista matto e di sinistra, un barbone elegante, un ebreo comunista, un giustiziere che rapina i negozi e palpeggia le commesse… Il secondo libro, Foglie nel vento, è invece un autofiction in cui i pezzi di vita vissuta di Diez si intersecano con la sua creazione narrativa. Prendendo a spunto le vicissitudini del Negro, di Marina e del Chato l’autore racconta l’esilio e le peregrinazioni di un famiglia di militanti argentini, sempre in bilico tra propositi di rientro e ricerca di una “normalità” da regalare a se stesi e al figlio ma costretti a spostarsi tra l’Europa e il Cono Sur pur di riuscire a sfuggire al condor nero che si librava sopra il loro continente. L’unico peccato è che questi libri sono ormai fuori catalogo e possono essere acquistati solo attraverso internet, direttamente dal sito della marco tropea. A meno che una di queste domeniche non vi venga fame…

Ce ne andiamo, con la nostalgia del mole poblano, del caffè italiano e dei bar madrileni. Torniamo dove ci mancheranno le rive della Senna, le torri di Praga, una canzone russa, il rovinoso splendore dell’Avana Vecchia, la birra di Uruguayana, il calore di Rio de Janeiro, i treni notturni, le frontiere, le cattedrali, i castelli, le immagini sacre medievali e tutta la pacchianeria religiosa che circola per il mondo. Divisi, frammentati, disgregati, come pezzi di foglie gettati in aria, andiamo. E forse questo siamo, foglie secche che approfittano del vento per tentare il volo. E benchè la cosa possa sembrare irrisoria tanto è esigua, benchè la metafora di Icaro sia diventata una volgare gabbia VIP, benchè sparse a terra e destinate alla scopa, anche le foglie sanno dire <no, non ci sto> e confidare che un giorno di questi il volo gli riuscirà meglio.

RD