TU QUOQUE, FINI…

TU QUOQUE, FINI…

In uno scenario da fine impero, tra le peripatetiche minorenni che sgattaiolano nei corridoi di Arcore e i festini dionisiaci messi in piedi dal magnaccia dei divi per allietare le serate del sovrano, tra i tradimenti dei figliocci putativi e il patetico accapigliarsi fra loro di nani e vallette fatti eleggere da Silvio/Caligola come ministri di corte, sembrerebbe che si stia dissolvendo il regime berlusconiano che solo due anni fa sembrava più forte che mai. Ci chiediamo però se sia plausibile tentare di spiegare la crisi della più larga maggioranza parlamentare della storia repubblicana (343 deputati e 174 senatori) adducendo come motivazioni solo le ambizioni personali o i ripensamenti morali dell’eterno secondo Fini. Ovviamente non è così. Dietro lo smarcamento dell’ex leader di AN c’è il riposizionamento della fetta politicamente più influente di quella borghesia italiana che nel 2008 aveva di fatto sancito un’alleanza col blocco sociale che storicamente si riconosce invece nell’asse Tremonti-Bossi. Un’alleanza che nel nome della radicalità liberista aveva significativamente, sempre nel 2008,  portato all’elezione di Emma Marcegaglia come presidente di Confindustria e che adesso è implosa proprio sotto i colpi della crisi internazionale e della mancata ripresa. Fini, Casini, Rutelli cercano quindi di accreditarsi oggi come interlocutori privilegiati di questi settori del padronato, sempre che alla fine non scenda in campo direttamente Montezemolo, facendo proprie e riproponendo quasi pedissequamente le ricette di “ammodernamento” del “sistema Italia” tanto care a Marchionne. Il PD per sua stessa natura, sempre se non verrà a sua volta spaccato dalla forza centripeta di questo progetto, non potrà che accodarsi portandosi dietro tutti i cespugli e cespuglietti che, volenti o nolenti, rischieranno di contribuire alla sostituzione del regime di Berlusconi con quello, per intenderci, della FIAT. Al momento non è ancora chiaro cosa accadrà realmente e non a caso all’inizio abbiamo usato il condizionale, questo perchè non è affatto certo che in un passaggio elettorale questo nuovo blocco sociale riesca effettivamente a prevalere. Prova ne sia che ad oggi quelli più favorevoli ad un governo tecnico piuttosto che alle elezioni siano proprio l’UDC, FLI e il PD. Quel che è certo è che i lavoratori, drammaticamente privi di una propria autonomia politica, in questo passaggio non potranno far altro che assistere impotenti ai giochi che ancora una volta si svolgeranno sulle loro teste. La stessa CGIL, che sedendosi al tavolo della produttività è rientrata di corsa nel quadro della concertazione, ha di fatto rinunciato all’idea stessa di uno sciopero generale (sempre che tra qualche mese non servirà a dare la spallata al governo) e sconfessato la FIOM e le centinaia di migliaia di lavoratori che il 16 ottobre erano scesi in piazza. Resta da capire cosa farà adesso il sindacato dei metalmeccanici messo all’angolo dalla neosegretaria Camusso. Forzerà la mano? Indirà lo sciopero generale della categoria? Accetterà di generalizzarlo di concerto col sindacalismo di base e con i movimenti? Certo che se la risposta sono le due ore di sciopero a gennaio proclamate l’altro ieri dal comitato centrale… beh allora la notte è ancora lunga da passare.