Primarie… la scelta dell’imbarazzo!
Esattamente una settimana fa le primarie del PD a Milano hanno scelto il giurista Pisapia come candidato alla prossime elezioni comunali milanesi, da contrapporre alla Moratti. Torniamo su questa notizia per qualche ragionamento di portata più generale. Ecco il primo: le primarie hanno veramente rotto il cazzo. Come strumento di scelta dei candidati rappresentano l’ultima e patetica trovata della democrazia liberale per mascherare la propria crisi. Di contro, è curioso come siano esaltate da gran parte dell’area della sinistra, soprattutto quando premiano candidati considerati “amici”. In questi casi, le primarie diventano improvvisamente uno strumento meraviglioso, simbolo del protagonismo popolare (nel senso della “gggente” che si mette in coda dedicando un paio di ore del proprio fine settimana per partecipare all’ennesima pantomima elettoralistica), della “rivincita dei territori”, forse persino dell’emancipazione delle masse. Ma per favore…. Certo, nello specifico milanese, è indubbio che Pisapia sia un candidato “più a sinistra” rispetto ai concorrenti delle Primarie, a cominciare dall’architetto Boeri, appoggiato ufficialmente dal PD e impicciato nel “magna magna” dell’Expo 2015. Già parlamentare di Rifondazione Comunista, garantista fino all’eccesso (infatti piuttosto apprezzato da Berlusconi), adesso piuttosto vicino a Sinistra, Ecologia e Libertà – come adesso si chiama il partito di Vendola – anche se non ufficialmente. Proprio Vendola, infatti, è entrato vigorosamente nella campagna elettorale per le primarie milanesi del PD sostenendo Pisapia, tanto da produrre un commento unanime: la vittoria del giurista sarebbe un riflesso del protagonismo di Vendola, capace di inserirsi nel piattume cronico del maggior partito di opposizione e forse persino di conquistarne la leadership, se volesse (e vorrebbe, eccome…) e gli permettessero di entrare in competizione. Una competizione da giocarsi a forza di primarie, ovviamente. Come una squadra in serie positiva di risultati, il buon Vendola, infatti, si sente “caldo” e si vede in forma: con le primarie ha vinto la competizione interna al centro-sinistra in Puglia e poi ha rivinto le Regionali (con l’aiuto fondamentale del centro-destra, presentatosi incredibilmente diviso), adesso ha appoggiato Pisapia e lo ha fatto vincere. Di contro, il PD perde sistematicamente la chiamata alle urne dei suoi militanti, con i candidati che sostiene incapaci di vincere persino nelle primarie del proprio condominio. Tutto bene, quindi? Votando ogni settimana faremo (faranno) la Rivoluzione?? Abbiamo qualche dubbio. Innanzi tutto sulle primarie in sé: sono lo strumento che esalta più di tutti la personalizzazione della politica, che smette di essere una pratica collettiva (e quotidiana) per diventare un ciclo continuo di deleghe e delegati. I cittadini diventano soprattutto elettori, pronti a de-responsabilizzarsi mettendo una croce in una cazzo di urna, anche al di là del calendario istituzionale. “Vota, vota, vota”. Non fare politica, ma metti una fottutissima croce, sulla base spesso di impressioni epidermiche e di reazioni emotive. Ovviamente, per essere convincente, un tale meccanismo di delega si deve ammantare di una parvenza istituzionale: così, nonostante le urne siano spesso in posti improbabili (negozi di parrucchiere, centri commerciali, gazebi vari, oltre ai circoli di partito, che una volta si chiamavano “sezioni”), viene sostenuta una liturgia che ricorda le elezioni “ufficiali”. Quindi bisogna presentare un documento di identità, si viene registrati, c’è l’urna in cui deporre il proprio voto, ci sono persino gli exit poll appena usciti dal seggio. Mancano solo i carabinieri all’ingresso. Persino la possibilità (accertata da tante testimonianze) di votare una, due, cinque volte – a fronte di cotanta precisione formale – sembra fare il verso ai brogli delle elezioni “vere”. Un altro aspetto terrificante, su cui nessuno riflette, è costituito dal fatto che spesso viene richiesto un contributo economico all’elettore delle primarie. Di solito è almeno un euro, ma sono benvenuti i contributi maggiormente generosi. Questo aspetto non è insignificante dal punto di vista economico (con uno scherzo del genere le primarie che sancirono Veltroni segretario del nascente Partito Democratico, nel 2007, fruttarono oltre 3,5 milioni di euro…), ma è inquietante soprattutto dal punto di vista politico: adesso si deve pagare per votare. Siamo tornati indietro di decenni, forse di un paio di secoli: il voto per censo! A quando il voto plurimo, che attesti – per esempio – che il voto di un imprenditore valga il triplo di quello di un operaio o che il voto di un signor Rossi valga il doppio di un Mohammed che, pur diventato faticosamente cittadino italiano, ancora sconta il peccato originale di essere “straniero”?! Insomma, non solamente l’elettore delega i suoi diritti al politico di turno, ma deve persino pagare per farlo. Dopo il danno, la beffa… In ultimo, torniamo allo specifico milanese: diversi giornali “di area” (su tutti il moribondo “manifesto”) hanno esaltato la vittoria di Pisapia, mettendo in secondo piano il fatto che l’affluenza alle urne sia stata decisamente più scarsa di quanto sperato. I votanti per Pisapia sono stati, infatti, poco più di trentamila e cinquecento. Quanti abitanti ha l’intera Milano? E quanti elettori? Certo, si dirà, su Pisapia confluiranno anche i voti degli altri candidati e quelli di tutti i milanesi progressisti che non hanno alzato il culo (giustamente) per partecipare alla pantomima elettoralistica. Ma non è così scontato: fior di politologi si sono affrettati a spiegare, dopo le primarie milanesi, il perché le primarie premino solitamente i candidati “radicali” (è tutto relativo, ovvio…). La risposta, in realtà, è piuttosto elementare e non necessita di una sociologia particolare: i voti clientelari, non-ideologici e “mafiosetti” (ormai la stragrande maggioranza di voto nel caso italiano) si mobilitano per le elezioni “vere”, non certo per i giochi dei bambini poco cresciuti. Non a caso l’area dei cattolici dentro il PD odia le primarie e le cancellerebbe subito, sapendo che non le vincerà mai. Questi stessi, però, si prendono la rivincita non appoggiando – se non formalmente (a volte neanche quello) – il loro avversario che ha vinto le primarie. Anzi, pur di farlo perdere, sono pronti a regalare il voto al centro-destra. D’altronde non c’è da stupirsi, se pensiamo che il PD non è più neanche un lontano parente (tipo un bis-bis-bis nipote di ventesimo grado) di un partito comunista (ex-ex-ex comunista), ma solamente un comitato di affari. Quindi, ognuno per sé e, se non posso vincere io, il mio obiettivo diventa che non vinca neanche tu, che hai il torto di avermi fatto perdere. Eppure, in tutto ciò, riusciamo ancora a esaltarci perché Pisapia ha vinto le primarie. Bene, continuiamo così…