Il sangue dei vinti… e l’impareggiabile Tommaso Ricci
Non siamo soliti vederci il tg2, ma dobbiamo ammettere che i suoi servizi sono sempre in grado di sorprenderci. Sorprenderci non tanto per l’assoluta falsità dei contenuti – le menzogne revisioniste non ci meravigliano più, anche se per fortuna ancora non ci lasciano passivi – quanto per il silenzio con cui vengono accolti. Dove sono tutti quegli intellettuali illuminati che si strappano i capelli per la difesa della libertà di stampa in Italia quando, senza alcun contraddittorio, il tg2 riscrive una delle pagine più importanti della storia italiana? Non che si aspettiamo granché da essi, ma almeno un po’ di coerenza, questa potrebbero dimostrarla.
Ma veniamo al dunque. L’imminente messa in onda della fiction “Il sangue dei vinti” – dopo il suo flop al cinema – è un’occasione ghiottissima per tutti coloro che del revisionismo e dello svilimento dell’antifascismo e della Resistenza, ma più in generale di tutta la storia del movimento comunista internazionale, hanno fatto una ragione di vita. Occasione ghiottissima che infatti non si è lasciata sfuggire Tommaso Ricci, responsabile del settore cultura di rai2. Non sorprendetevi se il nome non vi suona nuovo: già due anni fa, infatti, il signor Ricci (cognato di Rocco Buttiglione in quanto marito di sua sorella Marina, la vaticanista del tg5) si era distinto per un servizio sulla Rivoluzione d’Ottobre in cui, nel suo novantesimo anniversario, affermava perentoriamente che essa era stata un “colpo di stato” che aveva favorito la nascita e l’affermazione del fascismo e del nazismo, «avventura» (cit.) che non era peraltro sparita, a differenza di quest’ultimi due, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma che aveva continuato a diffondersi in giro per il mondo («violenza brutale spacciata per giustizia sociale, giogo totalitario per libertà socialista, ateismo di stato per nuova umanità. E quel che ha reso la truffa più amara e anche più longeva di altre, è che ci son caduti tanti spiriti giusti e generosi»).
Con l’edizione del tg2 delle 13.00 di oggi, il signor Ricci ha potuto aggiungere una nuova spilletta sulla sua divisa da soldatino del regime. Ce lo immaginiamo mentre, con il sorrisino soddisfatto di chi sa come far contento il suo padrone, parla di «Giampaolo Pansa, il giornalista che si è accollato l’onere di colmare le lacune di certa storiografia», calcando la voce sulle parole giuste, su quelle che spera possano dar più fastidio a chi ancora fa dell’antifascismo un valore irrinunciabile.
Ce lo immaginiamo mentre, scegliendo con cura le parole, dice che il fratello di Michele Placido «guerreggiava nelle bande partigiane», mentre la sorella «militava» nelle file di Salò, quasi che la prima scelta fosse condannabile in quanto al di là dell’ordine costituito: non è un caso, pensiamo, se questa frase è stata seguita, nel servizio, da un brano del film in cui la sorella di Placido ribadisce con orgoglio la sua decisione di combattere con le ausiliarie di Salò.
Ce lo immaginiamo mentre, con partecipazione emotiva, esalta la scelta di non schierarsi attribuendola, invece che a vigliaccheria, al senso del dovere e dell’istituzione, quasi che si possa davvero restare affacciati alla finestra mentre il palazzo brucia.
Ce lo immaginiamo mentre, con la più classica delle “marchette”, rende infine omaggio a Pansa («Dopo sessant’anni di silenzio, qualcuno, con atto di pietas – ahimè spesso calunniato – ne ha raccolto le silenziose grida»), mentre spera che la pietà “cristiana” (di cui la sua famiglia può essere evidentemente maestra) possa far dimenticare, anche questa volta, le colpe e i delitti di cui si macchiarono coloro che ama ormai vengono descritti come poveri “vinti”.
Speriamo che il flop della fiction al cinema possa ripetersi anche per la sua messa in onda in televisione, magari per la concomitanza del ponte dell’8 dicembre e, nella città in cui viviamo, del derby. Ci permettiamo, però, di consigliare al signor Ricci, che evidentemente ignora – ahinoi, e qui è il caso di dirlo – sessant’anni di storiografia, qualche buon libro da leggere. Da Claudio Pavone a Gabriele Ranzato, da Guido Crainz a Cesare Bermani, da Massimo Storchi a Hans Woller, gli storici – comunisti e non – non sono stati affatto in silenzio, come invece piacerebbe a Ricci e ai suoi padroni. L’intento di romanzi come quello di Pansa, e di chiacchiere come quelle di Ricci, è ben altro, e – lo sappiamo bene – è quanto di più lontano dalla verità si possa immaginare.