A chi giova il risultato di Le Pen?
Leggendo i giornali in questi giorni sembrerebbe che le elezioni francesi siano state vinte dal Front National di Marine Le Pen. Un qualsiasi lettore distratto dovrebbe pensare a una straripante vittoria del partito neofascista, un testa a testa con i partiti del cosiddetto “fronte repubblicano”, lo scardinamento delle basi politiche della Quinta Repubblica gollista. Leggendo più attentamente i dati, però, si scopre che quella che i cronisti chiamano “vittoria” nei fatti è il raggiungimento del 6% a livello nazionale, una percentuale che ha permesso al Front National di conquistare 200 comuni su 36.000.
Senza voler ridimensionare un risultato comunque importante per il partito, che non si presentava in molti comuni del paese, bisogna però ricordare che il FN da un decennio abbondante viaggia su percentuali a due cifre, che nel 2002 era arrivato addirittura a sfidare nel ballottaggio presidenziale il presidente Chirac, che da anni è dato in costante ascesa, e in un contesto politico ed economico decisamente favorevole alle retoriche anti-euro della vulgata nazionalista. Nessun lettore mediamente informato aveva perciò in dubbio il risultato di Le Pen, ampiamente nelle previsioni. Il bombardamento mediatico volto a dipingere tale risultato come qualcosa che non è, però, è un segnale che dovremmo saper leggere in modo più approfondito di quanto stanno facendo i media nostrani e francesi.
Quello che il voto a Le Pen rappresenta sembrerebbe abbastanza chiaro: la reazione di una piccola e media borghesia impoverita dal processo di costruzione imperialista europeo, che individua come suo nemico principale l’accentramento economico del capitale multinazionale, e che per questo intravede in un ritorno ad un passato di sovranità economica nazionale una delle possibili soluzioni per riuscire ad arginare il proprio costante impoverimento. Ciò non toglie che anche una quota rilevante di popolazione lavoratrice dipendente salariata abbia votato il FN, ma questa composizione non fa altro che portare acqua ad un mulino politico diverso ed opposto, e che in assenza di un’alternativa credibile a sinistra “prova” col voto di protesta concedendo alle posizioni nazionaliste quel credito che per anni è stato dato alle sinistre. Una dinamica elettorale già vista in questi anni in Italia, e non è un caso che la base elettorale della Lega Nord e del M5S siano simili a quelle del Front National. Un discorso politico anti-casta, apparentemente né di destra né di sinistra ma concretamente neoliberista, antistatale, razzista, “bottegaro”, fatto passare per radicale in questi anni e che ha confuso molta parte del voto un tempo storicamente affidato alle sinistre d’opposizione.
Quello che però non torna in questi giorni è il racconto che i media stanno portando avanti sulle elezioni francesi. Le elezioni comunali da sempre hanno visto la sconfitta dei partiti al governo e l’affermazione delle opposizioni. Come abbiamo detto, il risultato del FN, che ripetiamo è del 6%, era ampiamente previsto, addirittura già da mesi commentato. Perché dunque tale stupore? Ci sembra di intravedere due intenti politici dietro la narrazione degli eventi prodotta dal circuito mainstream. Da una parte c’è l’agitazione dello spauracchio neofascista come retorica legittimante l’attuale direzione politica impressa al processo di costruzione dell’Unione Europea. Se non si rafforzano le istituzioni europee, se non si applicano con vigore i trattati, ecco che a vincere saranno le opzioni “populiste” o apertamente nazionaliste e razziste. L’alternativa al processo europeista, sembrano dire il PD, Confindustria, il Partito Popolare europeo, il PSE, ecc, è il ritorno ai nazionalismi, ai localismi, in definitiva rimandare indietro le lancette della storia. Per quanto pessima possa essere l’attuale Unione Europea, questa rappresenta un sicuro passo avanti rispetto ai Le Pen di tutta Europa.
Dall’altra parte, le posizioni politiche e sociali uscite sconfitte dal processo d’accentramento capitalista imposto al contesto europeo sembrerebbero agitare il medesimo spauracchio della “vittoria” neofascista come arma contrattuale per poter strappare a Bruxelles condizioni più vantaggiose per le piccole borghesie nazionali. Se non si modificano i trattati, le condizioni d’austerity imposte dagli accordi economico-finanziari, le politiche monetariste della BCE, ecc…il risultato, sembrano dire Forza Italia e soci, è quello di rafforzare le posizioni populiste contrarie all’Unione Europea. Come vediamo, la stessa retorica, lo stesso gridare al lupo del nazionalismo, è utilizzata dalle due parti politiche per obiettivi diversi: da una parte continuare il processo così com’è, perché l’alternativa sarebbe il ritorno all’Europa degli stati-nazionali; dall’altra, modificare il rapporto tra stati-nazionali e istituzioni europee in favore dei primi, perché altrimenti questa direzione non potrebbe che rafforzare le posizioni euroscettiche.
Quale che sia la ragione, tutti hanno qualcosa da ottenere strepitando contro il presunto “successo” di Le Pen, ma ciò che si vorrebbe ottenere va purtroppo nella stessa direzione europeista che invece dovremmo combattere. Il fatto che qualsiasi organizzazione che strepiti contro l’euro o la UE raccolga voti e consensi dovrebbe far riflettere di come è una grande parte della popolazione a richiedere una rottura con quelle istituzioni. E il continuo tentativo da parte di certa sinistra di nobilitare quel processo europeista non fa altro che costruire, mattone dopo mattone, le ragioni della prossima sconfitta, elettorale, politica e sociale. Continuare a non dare ascolto alle masse popolari credendo di avere ragione e di dover solamente spiegare meglio, convincere, una popolazione che ha definitivamente individuato il proprio nemico, ci sembra essere un percorso di autolesionismo scarsamente razionale. Le Pen non vince perché nazionalista, perché “anticasta” o perché razzista, men che meno perché fascista. Le Pen cresce nei sondaggi e nei voti perché è stata capace di dire che il nemico del lavoratore francese è l’Unione Europea. Chiaramente, non c’è neanche bisogno di ricordarlo, le soluzioni che il FN propone sono peggiori del male, oltre che storicamente sono proprio le ricette politico-economiche dei partiti come il Front National ad aver dissodato il terreno per le politiche neoliberiste della costruzione europeista. Il FN è parte del problema, non della soluzione, ma finchè dai media sarà descritta come la più radicale espressione dell’opposizione, questo non farà altro che raccogliere voti a palate, proprio perché intercetta una richiesta di opposizione ormai abbandonata dalle sinistre.
In conclusione, possiamo anche continuare a raccontarci che il voto a Le Pen sia un voto identitario, nazionalista, fascista e via dicendo, ma continueremo a non cogliere il dato sostanziale, e cioè la percezione che queste posizioni hanno nel grosso della popolazione. Una popolazione che domenica ha espresso il suo record di astenuti anche in Francia. Pure in questo caso, possiamo continuare a leggere il fenomeno astensionista come fisiologico, qualunquista, ecc, e continueremo a mancare il punto attorno al quale dovremmo ragionare: perché i lavoratori stanno abbandonando la partecipazione politica, o quando la esprimono lo fanno in favore di posizioni politiche antitetiche a quelle immaginate? Una domanda che, a giudicare dalle reazioni della sinistra, continuerà ad essere inevasa per molto tempo.