A proposito di lotte che non si collegano
Sabato c’è stato un bellissimo corteo romano in solidarietà col popolo palestinese, per l’ennesima volta attaccato mortalmente da Israele. Il presidio di Montecitorio ha avuto la capacità e la forza di trasformarsi in corteo, anche perché inaspettatamente il numero dei partecipanti è costantemente salito, fino a raggiungere le 500/800 persone. Un corteo conquistato con la determinazione, che si è spostato da Montecitorio fino al Colosseo, bloccando via del corso e piazza Venezia. Insomma, viste le premesse e l’assenza di qualsiasi mobilitazione su questioni internazionali, un fatto significativo. Una risposta più che dignitosa ai bombardamenti israeliani, difesi e addirittura giustificati ideologicamente da tutto quel mondo filo sionista di sinistra che produce più danni che le vere bombe al fosforo sganciate su Gaza. Pensiamo a quel mondo della cultura, formalmente schierato a sinistra, ma che in realtà è la patina riformista che ogni volta giustifica i peggiori crimini dello stato israeliano. Amos Oz, ad esempio, che proprio ieri ci spiegava, dalle colonne del Corriere della Sera, come il suo essere di sinistra non gli impediva di prendere posizione a fianco di Netanyahu, perché questa guerra è voluta dai palestinesi stessi e da Hamas in particolare. Insomma, la solita favola sionista di un popolo israeliano che vorrebbe solo vivere in pace e che purtroppo è costantemente sotto attacco dei palestinesi. La solita favola riportata su tutti i media, terrorizzati dal razzetto caduto fuori Gerusalemme ma silenti sui cinquanta e più morti palestinesi di questi sei giorni di guerra.
Detto questo, nonostante la mobilitazione riuscita, anche sabato è emerso in maniera lampante uno dei problemi, secondo noi centrali, del movimento italiano. L’assenza cioè di ogni forma di internazionalismo e di unione fra lotte differenti che ci caratterizza. La capacità, cioè, di capire che tutte le lotte vanno nella stessa direzione e si rafforzano l’una con l’altra. Nonostante un periodo di mobilitazioni frequenti; nonostante la vicinanza di un’università, la Sapienza, in lotta e con le facoltà occupate; nonostante il grande corteo di mercoledì ancora fresco di memoria, ieri il movimento palestinese a Roma era solo. Molti compagni, ma i soliti (stoici) che si occupano della causa palestinese. Nessuno studente, nessun sindacato di base (a parte i compagni dell’USB che si occupano anche della causa palestinese), nessun movimento organizzato che ha ritenuto importante esserci, solidarizzare attivamente e in maniera militante con la manifestazione e col popolo palestinese. Un bellissimo corteo, che però poteva essere ancora più grande, ancora più creativo, ancora più radicale, se solo ci fosse stato questo benedetto collegamento fra lotte che continua costantemente a mancare.
Senza scomodare Giovanni Ardizzone, Piero Bruno e i molti altri compagni che per la causa internazionalista hanno trovato la morte, non possiamo fare a meno di tornare con la mente ad anni in cui anche la più piccola e insignificante lotta in giro per il mondo era appoggiata dai movimenti del nostro paese. In fondo, era sabato; in fondo, era sera, le 18.00, un orario che avrebbe consentito la mobilitazione a chiunque. Eppure, mai come ieri si è capito che i sindacati si muovono solo su dinamiche sindacali; gli studenti solo in dinamiche studentesche; i partiti solo quando ci sono telecamere al seguito; le altre varie organizzazioni politiche, solo quando viene toccato il proprio campo d’azione.
La generalizzazione delle lotte rimane l’obiettivo da raggiungere, quella generalizzazione che dovrebbe portare i compagni a connettere tutti i mille rivoli della lotta di classe, dal lavoro al diritto allo studio, dall’internazionalismo alla lotta per la casa, dalle vertenze sindacali alle lotte ambientali. Perché tutte le lotte sono la stessa lotta.