America e antiamerica nelle elezioni Usa
Abbiamo il primo verdetto nella corsa alla presidenza statunitense: Donald Trump sarà lo sfidante ufficiale del campo democratico, uno schieramento che sarà rappresentato – a meno di eventuali cataclismi – da Hillary Clinton. Per tutti, uno scontro tra l’America presentabile e quella impresentabile. In realtà, al di là delle diverse e più che convergenti qualità dei due sfidanti, sarebbe più utile comprendere le ragioni sociali di uno scontro a detta di molti fuori dal comune. A questo riguardo, sul Corriere di qualche giorno fa Alan Friedman invitava ad un’analisi più in profondità della questione. Ora, Friedman è notoriamente un personaggio improbabile, ma la visuale da cui legge lo scontro che appresta a mettersi in scena permette l’individuazione di alcune caratteristiche di questa elezione, che altrimenti rimarrebbero schiacciate dall’afflato ultra-soggettivista e politicista che trova spazio nei media mainstream. Trump e Clinton sono due liberisti miliardari, pienamente dentro i centri di comando degli Stati uniti. Se osservassimo lo scontro solo dal punto di vista soggettivo dei due sfidanti, non potremmo cogliere altro che la scontata omogeneità del potere statunitense, capace di accalorarsi per sfide che in realtà celano una totale continuità tra i vari possibili presidenti. Questa parte di verità esiste ed è sotto gli occhi di tutti. E’ anche la parte di verità “principale”, nel senso che svela sinteticamente la politica americana meglio di molte altre parole. Potremmo fermarci qui eppure, mai come oggi, serve uno sforzo di comprensione.
Perché i due sfidanti sono (o vengono raccontati) così diversi? Sui principali media la natura dello scontro viene schiacciata sulla diversità personale dei due protagonisti. Eccentrico e volgare tycoon privato Trump, rispettabile donna della politica Clinton, con pochi veri consensi ma dalla sua la forza della continuità istituzionale. Per operare un salto interpretativo andrebbe invece cambiata prospettiva. Perché un personaggio davvero degradante come Trump ha potuto fare così tanta strada da portarlo alla candidatura presidenziale, e per la prima volta nei sondaggi con diverse possibilità di vittoria? La soluzione a questa domanda va ricercata nella società americana. Friedman dice una cosa molto forte: l’elettorato di Trump e di Bernie Sanders è in buona sostanza lo stesso. Quel pezzo di società impoverita dalla crisi, composta da lavoratori senza più orizzonti di arricchimento, espulsi o precarizzati dai cicli produttivi, emarginati dal discorso pubblico, si sono divisi nell’appoggiare Trump o Sanders, ma sono accomunati da una voglia di riscatto o più semplicemente di “presenza” che personaggi “istituzionali” come la Clinton non garantiscono più. Il “sogno americano” sembra essersi bloccato, e per quanto Hollywood, le serie Tv, la cultura generalista prodotta agli Usa tenti di preservarne l’alone mitico, senza vera redistribuzione di ricchezza la sola ideologia di potere non basta più.
Non abbiamo la certezza che sia così. Non possediamo dati certi o tendenziali che i due potenziali elettorati siano composti prevalentemente da questo tipo di soggettività. E’ però vero che queste elezioni rappresentano in qualche modo una novità, palesano una frattura difficilmente colmabile negli Usa senza ritorno alla redistribuzione economica. La vera novità non è tanto Trump, quanto la corsa all’elezione di Sanders. Mai nessun outsiders aveva avuto fino ad oggi tante chance di vittoria, aveva messo così in difficoltà il Partito democratico, da posizioni apertamente socialdemocratiche quasi – almeno per gli standard Usa – socialiste. Se questo è vero, da questo punto di vista Sanders e Trump si assomigliano più di quanto ragione vorrebbe. Non è una somiglianza soggettiva naturalmente: i due non potrebbero essere più diversi. Ma ambedue portano in dote la possibile rappresentanza di un pezzo sempre più grande di società americana senza più rappresentanza. Una società falcidiata dalla crisi e dalle sperequazioni del reddito, che stanno polarizzando una popolazione mai così divisa economicamente al proprio interno.
<A mio avviso, per comprendere la crescita del voto a favore di Trump bisogna capire che l’America che vota per Trump e quella che vota per Sanders sono più simili di quello che la logica di destra e sinistra suggerirebbe[…] Trump e Sanders sono d’accordo nel ritenere che il commercio libero sia un male che minaccia posti di lavoro. Entrambi sono pieni di appeal agli occhi dei poveri o dei lavoratori del ceto medio-basso, che faticano ad arrivare alla fine del mese[…] La verità è che sia Trump che Sanders, in modi diversi, parlano alla pancia di milioni di americani che si sentono ingannati dal sistema, trascurati dalla ripresa economica, più poveri e pieni di rabbia e frustrazione>.
Secondo dati citati da Friedman, 50 milioni di americani (il 15% della popolazione), sono sotto la soglia di povertà. Altri 106 milioni (il 33% degli americani), la superano di pochissimo. Una faglia sociale con pochi epigoni in Europa e nel resto del mondo “ricco”, eppure oggi più che mai capace di prendersi la scena, sebbene in forma ultra alienata, e probabilmente senza determinare alcunché di concreto nella politica Usa. Il problema, però, non ci sembra tanto la crescita economica.
E’ in gioco un altro fattore determinante e storicamente – almeno nel Novecento – davvero raro da ritrovare. Gli Stati uniti sono in crescita, così come è in crescita economica l’Europa. Sono crescite certamente ridotte nelle percentuali del Pil, ma per economie mature e in buona sostanza “post-industriali”, difficilmente si possono prevedere – anche per ipotesi accademica – percentuali più alte. Insomma, invece dell’1% si può crescere del 2%, ma è difficile, per non dire impossibile, che economie sofisticate e dalla domanda interna satura arrivino a crescere a ritmi cinesi. A meno di catastrofi come nuove guerre globali, anche il più ottimista dei professoroni liberisti si augurerebbe un trend di crescita dell’1,5-2% annuo, sapendo che di più sarebbe impossibile. Il fatto nuovo è che tale crescita avviene senza lavoro, da una parte, e dall’altra che la ricchezza prodotta rimane ferma nella gestione finanziaria di chi se ne appropria. Non c’è redistribuzione, quella che permetteva di legare il sogno americano, promosso dalla cultura mainstream, alla sostanza materiale dell’aumento di stipendio o della bassa disoccupazione e al lavoro garantito. Non c’è “dimensione pubblica” della crescita. Più gli Usa crescono, più crescono i poveri: questo l’apparente paradosso che determina la nascita di fenomeni politici “di rottura” (che poi questa rottura sia vera, presunta o solo mediaticamente raccontata, poco importa per questa analisi). Ci troviamo allora di fronte ad una novità, novità che peraltro trova spazio politico anche in Europa. In questo senso Trump è davvero simile ai movimenti “populisti” (come il M5S) o “reazionari” (come le varie forme di lepenismo) europei: le “ragioni sociali” che lo producono convergono con le basi materiali dell’affermazione delle destre populiste o reazionarie in Europa. L’assenza di lavoro in presenza di crescita, la mancata redistribuzione del reddito, la mancata integrazione di quote di popolazione nella rappresentanza politica “presentabile”, concorrono a plasmare una massa sociale di milioni di persone senza più rappresentanza, che si affidano a qualsiasi opzione politica percepita, anche solo perché mediaticamente così raccontata, come “opposta” alla convergenza politica liberista dei vari “centrodestra” e “centrosinistra” occidentali.
Questa che è poco più di un’intuizione dovrebbe, se ulteriormente confermata, divenire ipotesi di lavoro per le sinistre occidentali. Nel senso che o questa massa viene contesa politicamente alle forze populiste e reazionarie, o la sinistra sarà sempre più spinta a rappresentare quel pezzo di “società integrata” che però è numericamente in via di estinzione, e questa estinzione quantitativa e qualitativa determina così anche la scomparsa della sinistra politica in quanto tale. Di qui a capire “come si fa” ce ne corre. Ma già inquadrare il problema sarebbe già qualcosa. Anche una lettura più attenta dei fenomeni politici statunitensi, in questo senso, può aiutare nell’impresa di trovare gli strumenti adatti ai tempi che corrono.