Calle 13. Entren los que quieran…aquì se respira lucha!
“Directamente desde Puerto Rico, la colonia más importante del mundo y el único lugar donde le prestan más atención a Miss Universo que a la educación…”
Esordisce in questo modo “Entren los que quieran”, l’ultimo lavoro dei portoricani Calle 13 pubblicato ormai un anno fa e da noi pressoché introvabile (conviene scaricarselo). La parabola travolgente di Renè Pèrez (a.k.a. “Residente”) e Eduardo Cabra (a.k.a. “Visitante”), questo duo di fratellastri e di raperos tanto misconosciuto in Europa quanto osannato in America Latina, inizia nel settembre del 2005 con la pubblicazione del l’instant song “Querido FBI” che li impone all’attenzione di un’opinione pubblica nazionale sbigottita.
Il brano viene scritto di getto dopo l’assassinio del militante rivoluzionario Filiberto Ojeda Ríos ed è un’invettiva asciutta ed incalzante contro federali e governanti, carnefici e complici dell’omicidio del leader dei Macheteros. Liriche dirette come una sequenza di jab che sopra un beat scarno ed essenziale mostrano quali enormi potenzialità espressive conservi tuttora l’hip hop, nonostante la commercializzazione e le stucchevoli pose da gangsta che ormai da tempo hanno preso il sopravvento nella scena internazionale. Una forza comunicativa di cui i Calle 13 sono invece ben consapevoli e che non intendono affatto sprecare perché “sería muy fácil para mi escribir un bolero/O hacer un video rapeando encima de un velero/con mujeres en pelotas acariciándome las huevos/sacrificar mis ideales pa’ venderte un disco nuevo/si es asi mejor me quedo/no se puede escribir sobre el dolor cuando se escribe con miedo/Conformarse y dejar de insistir/Es como ver a alguien ahogandose y dejarlo morir”. L’album di cui di seguito vi proponiamo tutte le tracce è dunque la quarta tappa di un viaggio iniziato con l’omonimo “Calle 13” (2005) e che è passato poi per “Residente o Visitante” (2007) e “Los de atrás vienen conmigo” (2009), oltre che per un documentario on the road “Sin Mapa” (2009), e che nel frattempo li ha visti fare incetta di Grammy e Grammy latinos. Per non parlare poi delle decine di concerti oceanici, uno lo scorso anno anche dalla tribuna antimperialista de La Habana, che li hanno consacrati come uno dei gruppi più popolari del subcontinente fino a trasformarli in un vero e proprio fenomeno di massa. Un successo, quello dei Calle 13, che non li ha snaturati né tantomeno li ha indotti a montarsi la testa, ma che invece si è trasformato in un percorso artistico, umano e politico che ha finito con l’arricchire enormemente il loro bagaglio musicale, tanto che oggi sarebbe alquanto riduttivo cercare di rinchiuderli nella definizione di “latin rap”. Cumbia, merengue, ska, musica andina, rock, chitarre elettriche e ukulele… nel loro ultimo album tutto viene frullato in una miscela incredibile servita insieme a testi irriverenti e rigorosamente “politically uncorrect” in cui si parla della politica, della vita, dell’amore senza per questo rinunciare al diritto all’allegria, alla “locura” e alla sacrosante voglia di continuare ad hacer fiesta tambien. Ovviamente avendo ben chiaro il barrio, il caserio da dove provengono e l’orgoglio per le proprie origini… “yo vengo de atrás/yo vengo de abajo/tengo la uñas sucias por que yo trabajo/me he pasado toda la vida mezclando cemento/ para mantener a los gringos contentos/Tu no sabes todo lo que yo cosecho/ para dormir debajo de un techo…”
Ma veniamo a noi, o meglio al disco che ci interessava recensire. Dopo una lunghissima intro in perfetto stile musical di Broadway i Calle 13 aprono, accompagnati dalla chitarra elettrica e psichedelica di Omar Rodriguez-Lopez, con la bellissima “Calma Pueblo”. Che un certo rock e l’hip hop potessero viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda non è certo una novità, lo si sapeva dai tempi di Ice-T e dei Bodycount e prima ancora di “Walk this way” (Run DMC/Aerosmith), ma sentire rinnovato questo sodalizio non può che far piacere. Il brano, in cui emerge anche gran parte della weltanschauung dei Calle 13, ha rappresentato il primo singolo estratto dall’intero lavoro e il relativo video ha suscitato non poche polemiche finendo poi per essere censurato dalle maggiori catene televisive, del resto… mi estrategia es diferente/por la salida entro/me infiltro en el sistema y exploto desde a dentro/todo lo que les digo es como el aikido/uso a mi favor la fuerza del enemigo…
La seconda traccia presenta melodie sicuramente più “aderenti” alla produzione passata del gruppo e non si può ascoltarla rimanendo fermi, bisogna lasciarsi coinvolgere nel “Baile de los pobres”. Un contrappunto ironico e dissacrante tra clase alta y clase baja: “tu sudas perfume yo sudo trabajo/tu tienes chofer, yo camino a patas/tu comes filete y yo carne de lata/nuestro parecido es microscópico/pero es que por ti me derrito como gringo en el trópico”. Differenze sociali su cui non ci si piange addosso, ma a partire dalle quali si lotta e… si balla. Anche perchè “no se necesita plata pa’ moverse/necesita onda y música cachonda”.
A dimostrazione poi della capacità che hanno i Calle 13 di passare da questioni sociali a tematiche più intimistiche nella terza traccia i ritmi danzerecci del brano precedente si sciolgono in una dolcissima ballata in cui l’amore e il viaggio si intersecano senza soluzione di continuità “yo soy la vida que ya tengo/tu eres la vida que me falta/Asi que agarra tu maleta, el bulto ,los motetes, el equipaje, tu valija, la mochila con todos tus juguetes …y… dame la mano vamos a darle la vuelta al mundo”. Una filosofia di vita in cui è difficile non riconoscersi “Soy las ganas de vivir/las ganas de cruzar/las ganas de conocer lo que hay después del mar”.
Altra traccia, la quarta, altro cambio di registro. Quasi a voler dimostrare di quante frecce dispongano nelle loro faretre questa volta il Residente e il Visitante ci trascinano con una sorta di marcia hip hop dalle sonorità che sarebbero state perfette per la colonna sonora di un film di Sergio Leone. “La bala” è la descrizione del viaggio di una pallottola e al tempo stesso l’esposizione di un altro punto di vista rispetto alla guerra tra cartelli che insanguina interi stati dell’America latina: “se mata por montones/las balas son igual de baratas que los condones/hay poca educación hay muchos cartuchos/cuando se lee poco se dispara mucho/hay quienes asesinan y no dan la cara/el rico da la orden y el pobre la dispara”. Non a caso il video del brano sarà girato proprio in Messico, un Paese che da solo nel 2010 ha registrato qualcosa come 24374 omicidi e in cui da anni è in corso una vera e propria guerra per il controllo del traffico di droga che coinvolge narcos e interi pezzi dello Stato e delle forze armate.
La quinta traccia, secondo singolo estratto dall’album, ci restituisce invece i Calle 13 più stradaioli, casinisti e, se vogliamo, leggeri… “Vamos a portarnos mal… rompemos con la reglas… somos indisciplinados”
“Digo lo que pienso” è invece un “classico” pezzo hip hop il cui testo, tutt’altro che banale, è anche un manifesto del “Calle13 pensamiento” rispetto al ruolo che un’artista dovrebbe avere di fronte al mondo che lo circonda corredato dalle immancabili schermaglie polemiche nei confronti degli altri protagonisti della scena rap e reggaeton ritenuti dai Renè ed Eduardo troppo commerciali o addomesticati.
Con “Muerte en Hawaii” i ritmi si placano nuovamente e le dita del Visitante pizzicano le corde di un Ukulele per una godibilissima ballata, quasi una filastrocca, talmente delicata e rilassante da far invidia ai King of Convenience.
In “Todo se mueve”, invece, si mostra per intero l’eclettismo musicale di cui i Calle 13 sono capaci. Il pezzo è musicalmente uno dei più ricercati dell’album se non dell’intera produzione del gruppo e forse anche per questo ha forse bisogno di essere riascoltato più volte per essere apprezzato a pieno. La collaborazione con Seun Kuti, un musicista nigeriano esponente dell’afrobeat, impreziosisce il brano con accenni di jazz, sonorità afro e suggestioni di musica e mitologia yoruba.
Nella traccia “El hormiguero” tornano le chitarre elettriche e il testo si fa nuovamente e direttamente politico mentre sullo sfondo riecheggia la voce del Che e di altri rivoluzionari latinoamericani. E’ indubbio che per il Residente e il Visitante le formiche sono i milioni di humildes in lotta per l’indipendenza e la giustizia sociale perchè “un pais durmiendo es un pais desierto/mi gobierno se asusta cuando me despierto/pueden tirarse hasta los federales/ somos 600millones sin contar los ilegales/entre las patas nunca escondo el rabo/prefiero morir como rebelde/que vivir como esclavo”.
“Preparame la cena”, il brano che chiude l’album, si fa nuovamente introspettivo, il ritmo rallenta e lascia spazio alla riflessione, una sorta di commiato in attesa del prossimo lavoro… “yo soy libre por que desde aquí yo vuelo/solo toca despegarse del suelo…”
Da questo riuscitissimo “Entren los que quieran” estrapoliamo infine quello che secondo noi è certamente il pezzo più bello fin qui mai composto dai Calle 13. Parliamo di “Latinoamerica” un brano talmente coinvolgente che risulta persino difficile scriverci sopra o aggiungere qualcosa al semplice ascolto. Provare per credere.
Soy…soy lo que dejaron/Soy toda la sobra de lo que se robaron
un pueblo escondido en la cima/mi piel es de cuero por eso aguanta cualquier clima
soy una fabrica de humo/mano de obra campesina para tu consumo
frente de frío en el medio del verano/el amor en los tiempos del cólera mi hermano
el sol que nace y el día que muere/con los mejores atardeceres
soy el desarrollo en carne viva/un discurso político sin saliva
las caras mas bonitas que he conocido/soy la fotografía de un desaparecido
la sangre dentro de tus venas/soy un pedazo de tierra que vale la pena/una canasta con frijoles
soy Maradona contra Inglaterra anotándote dos goles/soy lo que sostiene mi bandera
la espina dorsal del planeta es mi cordillera/soy lo que me enseño mi padre
el que no quiere a su patria no quiere a su madre/soy america latina
un pueblo sin piernas pero que camina
Tu no puedes comprar el viento , tu no puedes comprar el sol
Tu no puedes comprar la lluvia, tu no puedes comprar el calor
Tuno puedes comprar las nubes, Tu no puedes comprar los colores
Tu no puedes comprar mi alegría, tu no puedes comprar mis dolores
Tengo los lagos , tengo los ríos/tengo mis dientes pa cuando me sonrío
La nieve que maquilla mis montañas/Tengo El sol que me seca y la lluvia que me baña
Un desierto embriagado con peyote/Un trago de Pulque para cantar con los coyotes
Todo lo que necesito/Tengo a mis pulmones respirando azul clarito
La altura que sofoca/Soy las muelas de mi boca mascando coca
El otoño con sus hojas desmayadas/los versos escritos bajo la noche estrellada/Una viña repleta de uvas
Un cañaveral bajo el sol en un Cuba/Soy el mar caribe que vigila las casitas
Haciendo rituales de agua bendita/El viento que peina mi cabello
Soy todos los santos que cuelgan de mi cuello
El jugo de mi lucha No es artificial/Por que El abono de mi tierra es natural
Tu no puedes comprar el viento , tu no puedes comprar el sol
Tu no puedes comprar la lluvia, tu no puedes comprar el calor
Tuno puedes comprar las nubes, Tu no puedes comprar los colores
Tu no puedes comprar mi alegría, tu no puedes comprar mis dolores
Trabajo bruto pero con orgullo/aquí se comparte…lo mio es tuyo
este pueblo no se ahoga con marullos/y si se derrumba, yo lo reconstruyo
tampoco pestañeo cuando te miro/Para que te acuerdes de mi apellido
La operación condor invadiendo mi nido/perdono pero nunca olvido
Vamos caminando/Aquí se respira lucha
Vamos caminando/Yo Canto por que se escucha
Vamos dibujando el camino/Estamos de pie
Vamos caminando/Aquí estamos de pie