Campagna per l’amnistia sociale: un’adesione “critica”
Il Collettivo Militant ha deciso di aderire alla campagna politica per l’amnistia sociale, lanciata dall’Osservatorio sulla repressione e da molte altre strutture politiche e di movimento. Non nascondiamo che si tratta, nel nostro caso, di una adesione critica, espressa per due ordini di motivi: 1) ogni tentativo volto a far uscire dalle misure restrittive di diverso tipo i compagni e le compagne impegnati nelle lotte sociali trova il nostro appoggio; 2) è importante esprimere un segnale di controtendenza rispetto alle attuali linee della repressione che, come accade in ogni democrazia liberale, colpiscono chi si contrappone al dogma della proprietà privata, alla consuetudine della speculazione contro il territorio, alla instancabile tendenza alla privatizzazione dei beni comuni, al taglio del welfare e dei servizi, al restringimento di tutti i diversi tipi di salario, all’inevitabilità del lavoro privato e semi-schiavistico. Detto questo – e applauditi i compagni e le compagne che si pongono il problema di segnare un punto a sfavore delle suddette tendenze – non nascondiamo alcuni dubbi.
Partiamo dall’evidenza per cui il Diritto (legiferato, interpretato, eseguito) dipende dalla Politica e dai rapporti di forza tra le classi. In questo momento storico – in cui le mobilitazione sociali faticano a trovare continuità e collegamenti (anche perché spesso mancano di una chiara impronta anticapitalistica) – andare a chiedere un’amnistia per le lotte sociali rischia di configurarsi come il questuante che si pone di fronte allo Stato con il cappello in mano, per quanto gli stessi propositori dell’amnistia specifichino la loro lontananza dal “semplice” assistenzialismo carcerario e dall’associazionismo di settore. Altra osservazione, collegata alla precedente: firmiamo la richiesta di amnistia ben consapevoli che il suo carattere sia soprattutto simbolico (dare un segnale di controtendenza, è stato detto), dal momento che lo Stato difficilmente può recepire come non-punibili (quindi lecite, se non addirittura legali) atti o comportamenti che violano effettivamente e coscientemente le sue leggi. Si dirà: “Ma già in passato ci sono state amnistie!” Sì, sicuramente, ma hanno riguardato la chiusura di un ciclo di lotte considerato ormai terminato e, quindi, storicizzabile: un periodo storico che ha esaurito i suoi effetti e verso il quale, quindi, lo Stato intendeva interrompere il proprio accanimento. Non è questo il caso, evidentemente: l’attuale ciclo di lotte (la cui repressione giustamente indigna) è ancora bel lungi dal terminare, anche perché finora non ha prodotto quella finitezza di risultati attesi e auspicati. Chiedere un’amnistia “a metà del guado”, quindi, sembra quantomeno arduo. Una tale richiesta se fosse generalizzata come battaglia politica di libertà, però, avrebbe il merito di coinvolgere tutti quei compagni/e che sono ancora dentro le prigioni per la loro militanza nelle file delle organizzazioni combattenti di trenta o quaranta anni fa. La pervicacia dello Stato e dei suoi boia togati, molti dei quali di comprovata fede “progressista”, ci indigna più che mai e ci spinge ad aderire a questo appello, ricordando, anche in questa sede, che proprio lo Stato a cui stiamo chiedendo clemenza il prossimo 15 ottobre verrà indirettamente processato (da se stesso…) a Perugia, nell’ambito della revisione del processo per calunnia contro il compagno Enrico Triaca. La vicenda processuale di Triaca ha una importante valenza, perché diventa di fatto (seppure solo a livello simbolico, dato che lo Stato si può auto-processare, ma di certo non si può auto-condannare) l’ammissione dell’esistenza di una squadretta di torturatori, comandata da Nicola Ciocia, alias “Professor De Tormentis”, che dalla fine degli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta aveva l’obiettivo di estorcere confessioni e informazioni ai militanti delle organizzazioni combattenti, sconfessando la favoletta dello Stato liberale che affrontava anche la fase più acuta della lotta di classe solamente con strumenti democratici. Pensiamo che chiedere l’amnistia oggi significhi necessariamente anche ricordare come lo Stato italiano abbia combattuto la sua guerra civile negli anni Settanta e Ottanta utilizzando i mezzi più ignobili che aveva a disposizione.
Crediamo, infine, che la battaglia contro la repressione abbia bisogno di due condizioni fondamentali: da una parte la mobilitazione, la lotta, la sensibilizzazione di ampi settori di movimento e di tutta quella parte di proletariato che è sempre più colpito dagli effetti della crisi; dall’altra un atteggiamento di unità, volto a considerare il campo della lotta alla repressione un terreno dove vanno evitati atteggiamenti settari e corporativi, anche nella diversità di posizioni.
Il nostro compito non è alzare muri ma abbatterli.