“caro” giornalista prezzolato…
da cdr-roma.org
Negli ultimi anni, dopo il clamoroso fallimento professionale di tutti quegli analisti, giornalisti, sedicenti cubanologi e scritturati vari di quella compagnia cantante che pronosticava ad ogni piè sospinto l’imminente caduta della Revoluciòn, il leitmotiv adoperato dai media mainstream per attaccare Cuba è stato il presunto mancato rispetto delle cosiddette libertà civili. E uno dei cavalli di battaglia di questa campagna mediatica è stato proprio il diritto ad adoperare la rete. Lo sa bene il Corriere della Sera che annovera tra le sue firme diversi alfieri di questa crociata per un “Internet Libera” sulla isla grande. I più attenti ricorderanno che solo poche settimane fa Pierluigi Battista si stracciava le vesti in difesa della bloggera Yoani Sanchez, e lo stesso facevano Alessandra Farkas e Rocco Cotroneo. E tutti a chiedersi scandalizzati perchè non fosse garantito ad ogni cittadino cubano l’accesso (privatistico, aggiungiamo noi) al web. E e tutti a stigmatizzare quanto illiberale e poco tollerabile fosse questa situazione. Capirete dunque lo stupore che abbiamo provato questa mattina sfogliando il Corsera e leggendo che i cubani si farebbero beffe di Raul Castro nientedimeno che attraverso un sito internet. Perchè una domanda c’è sorta spontanea: ma a Cuba internet non era vietato? Dov’è allora la verita? Nell’articolo del giornalista del Corriere che lamenta le limitazioni al web o in quello del medesimo giornalista del Corriere che dopo qualche giorno esalta la capacità dei cubani di utilizzare internet per aggirare le leggi e la burocrazia? Ovviamente in nessuna delle due tesi e basterebbe un minimo di onestà intellettuale per capirlo, ma al mercato dell’informazione questa è una merce che resta invenduta. Cuba ha un accesso limitatissimo alla rete mondiale a causa dell’embargo statunitense e nonostante il fatto che uno dei cavi sottomarini che collega gli USA al Messico lambisca le sue coste e costretta ad adoperare il collegamento satellitare, molto più costoso, molto meno efficiente ma soprattutto con una larghezza di banda risibile: 240 Mb/s. Ovvero l’equivalente di quanto possono disporre una decina di internet point in un qualsiasi paese occidentale. Attualmente è allo studio la cablatura del tratto di mare che la separa dal Venezuela, ma ci virrà ancora qualche anno. A fronte di questa penuria di banda è logico che sia stata data priorità all’utilizzo pubblico e collettivo (e gratuito) piuttosto che a quello privato ed individuale. Del resto, se il cosiddetto regime avesse tanta paura delle nuove tecnologie, perchè da qualche anno ha attivato l’Universita delle Scienze Informatiche? Perchè ha diffuso su tutto il territorio ed in ogni municipio dei circoli di formazione informatica (gratuiti) aperti anche a chi non è più in eta scolastica? Un giornalista serio, non per forza progressista, basterebbe che sia serio, certe domande se le dovrebbe porre. O no?