Conferme catalane

Conferme catalane

 

Le elezioni catalane ci confermano alcuni dati che andiamo dicendo da tempo. Il primo dei quali, che l’astensionismo è una caratteristica intrinseca al modello neoliberista e ordoliberale europeista. Dove c’è alternativa politica, dove c’è battaglia di idee, di programmi, di visioni di lungo periodo, di modelli di sviluppo differenti, la politica è ancora una cosa importante e i cittadini si mobilitano e votano. La scorsa domenica ha votato il 77% degli aventi diritto, il 10% in più delle elezioni precedenti del 2012. E’ la mancanza di alternativa che atrofizza la politica dei paesi europei e anglosassoni, e dove questa si materializza si riaffaccia l’incubo novecentesco della partecipazione politica, della mobilitazione costante, della condivisione di scelte e prospettive. Tutti fattori che l’impianto liberale europeista cerca di disattivare presentando i governi nazionali – e ancor di più il governo sovranazionale Ue – come “tecnici”, “impolitici”, “né di destra né di sinistra”, eccetera. Questo risultato non è però frutto di improbabili contenitori politici, rassemblement improvvisati di trombati della politica, costituenti rosa o ammucchiate elettoralistiche. E’ l’ultimo passaggio di una mobilitazione politica perdurante, capace di inserirsi nella società catalana toccandone le corde giuste. Facendo politica, insomma.

Le elezioni catalane sono state un momento importante. La Catalogna ha un Pil maggiore di quello greco, per dire, e si è recato a votare quasi lo stesso numero di persone delle tristi elezioni greche. Impossibile allora circoscriverlo a mero fatto regionale o locale. Le elezioni catalane sono un fatto europeo che inverte la rotta della disillusione e dell’apatia politica. L’8% dei voti è andato ad un partito comunista, la Candidatura d’unità popolare (Cup), che rappresenta la vera novità politica europea, un partito-movimento capace di aggiornare la politica comunista facendo vivere nella società catalana l’ipotesi dell’alternativa di sistema, della lotta di classe capace di esprimere una lotta per l’indipendenza che non sfoci in fenomeno para-nazionalista. Esattamente come in Euskal Herria, ma per la Catalogna ci sembra una novità, almeno a questo livello di massa. Un partito che lo scorso anno, intervenendo al nostro convegno “Exit strategy”, ci spiegava perché lotta alla Spagna e all’Unione europea facevano parte di uno stesso percorso politico, che l’Unione europea rappresenta l’altra faccia delle politiche neoliberiste della Spagna post-franchista.

La vicenda catalana rappresenta però anche una lezione che dovremmo avere l’onestà di cogliere. Anche le elezioni di un parlamento ragionale, se capaci di fotografare il livello della lotta di classe presente in un dato territorio, possono essere decisive per incrinare il modello europeista, quantomeno per metterne in discussione alcuni presupposti. Certamente non basta un risultato elettorale, ma per come è messa la sinistra europea, da qui si può ripartire. Da un’alternativa concreta e radicale, anti-europeista e anti-nazionalista, non dai falsi riformismi accondiscendenti col capitalismo europeista.