Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
Non contate i giorni, non contate i chilometri. Contate solo i tedeschi che avete ucciso. Uccidete i tedeschi, è la preghiera di vostra madre. Uccidete i tedeschi, è il grido del vostro cuore russo. Non esitate. Non rinunciate. Uccidete. (Ilja Ehrenburg)
Incuriositi da una recensione del Corsera del 24 ottobre scorso ci siamo andati a leggere l’ultima fatica di Alfio Caruso pubblicata per i tipi della Longanesi: La battaglia di Stalingrado. Sono passati 70 anni precisi da quel 19 novembre del ’42, i T34, i KV1 e i KV2 hanno acceso i motori e oltre quattrocentomila uomini raccolti e preparati in due mesi da Zukov e dal capo di stato maggiore, il maresciallo Aleksandr Vasilevskij, attendono il via libera per vendicarsi di tutto ciò che hannno dovuto fin lì patire dal Terzo Reich. Ha inizio l’operazione Urano, la controffensiva sovietica che porterà all’annientamento della VI armata nazista e che più di ogni altra battaglia determinerà i destini della seconda guerra mondiale. Un’operazione resa però possibile dalla difesa strenua e disperata di Stalingrado e di quelle ultime centinaia di metri che dall’estate separano l’esercito di Hitler dalla sponda occidentale del Volga, una battaglia combattuta casa per casa, strada per strada, dopo di che ci sono solo le pianure che portano ai pozzi petroliferi del Caucaso indispendabili per poter continuare la guerra, il vero obiettivo del “caporale austriaco”. Caruso non è un compagno e i giudizi sull’URSS disseminati nelle 150 pagine sono li a ricordarlo, eppure è proprio questo che rende ancora più interessante la lettura del libro. Oltre che la scelta felice di adottare una scrittura con taglio giornalistico e in presa diretta. L’occhio dell’autore, benchè “non partigiano”, non può infatti fare a meno di riconoscere la superiorità strategica del comando militare sovietico e, soprattutto, l’adesione convinta di tutta la popolazione alla guerra. Ma Stalin ha potuto fregarsene: possedeva ormai le forze necessarie per rovesciare la situazione. Sei mesi di campagna hanno già spiegato che la popolazione, i cui figli corrono ad arruolarsi nell’Armata Rossa, non ha intenzione di mollare; che i plotoni si lanciano in assalti suicidi non perchè obbligati da commissari politici, ma perchè sospinti dalla volontà di cacciare gli invasori; che l’URSS non è lo sprovveduto Paese descritto dalla propaganda. Un aspetto, questo, sottolineato anche da “Stalingrad-Protokolle”, un libro dello storico tedesco Jochen Hellbeck uscito in questi giorni in cui vengono raccolte le testimonianze di 215 soldati dell’Armata Rossa che raccontano proprio come a farli resistere non fu la paura delle punizioni ma la consapevolezza di combattere per un’ideologia superiore a quella nazionalsocialista. Insomma, se avete 11,60 euro da spendere e qualche ora a disposizione regalatevi questa lettura, magari fomentandovi un po’ con gli Erode in sottofondo a ricordarvi che… al Volga non si arriva, resiste Stalingrado!