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Le Tigri erano vive, le Tigri volevano sapere, le Tigri sarebbero entrate in azione, le Tigri non perdonavano. Stavano tornando le Tigri della Malesia.
Un’avvertenza: questa recensione non è obiettiva! Non può esserlo perché chi scrive è cresciuto col mito inossidabile di Sandokan, che nella sua fantasia non poteva avere che i capelli lunghi e la barba incolta di Kabir Bedi diretto da Sergio Sollima. Non può esserlo perché chi scrive se è diventato comunista lo deve probabilmente anche a questo eroe malese terzomondista, a questa sorta di CHE ante litteram che combatteva contro l’impero inglese e il Rajah di Sarawak James Brooke, a cui un magistrale Adolfo Celi prestava la sua fisicità opulenta. E non può esserlo anche per il fatto che la sua libreria ospita, non a caso, tutta produzione narrativa del prolificissimo autore del libro. Conclusa questa breve quanto dovuta premessa possiamo passare all’ultima fatica dello scrittore asturiano di nascita, messicano d’adozione e antimperialista per vocazione che risponde la nome di Paco Ignacio Taibo II. Chi ha già avuto tra le mani un romanzo di PIT II sa bene come lo scrittore si diverta a trasformare le pagine dei suoi libri in un caleidoscopio di personaggi che solo un lettore distratto può considerare slegati tra loro. Si tratta invece di tessere di un mosaico, magari tratteggiate anche solo per poche righe ma sempre necessarie a comporre di fronte al lettore una visione d’insieme. Ritornano le tigri della Malesia rispecchia questo canovaccio tanto che ad elencare tutti i “coprotagonisti” non basterebbe la bandella laterale del libro. Questa volta Taibo II prende in prestito dalla penna di Arthur Conan Doyle nientemeno che Moriarty, la nemesi di Sherlock Holmes, riporta indietro nel tempo il futuro autore de Il libro della giungla Rudyard Kipling e lo colloca a Mompracem, assolda un crittografo ebreo antimonarchico, coinvolge un banchiere cubano che segretamente finanzia Josè Marti, tira fuori dal cilindro un nano che parla una lingua incomprensibile a tutti, arruola i capi delle sette segrete cinesi e scrittura un quartetto d’archi che una volta salvato da un naufragio improvvisa la cavalcata delle valchirie su un vascello pirata. E poi mette su una zattera in mezzo all’oceano una comunarda in esilio che cita i versi di Louise Michel e che racconta di un giorno a Parigi quando trascinò un pianoforte su una barricata per suonarlo.
Signori pirati, ho visto gli esseri umani dare il meglio di se stessi. Ho visto il fulgore e il trionfo. Voi cosa ne sapete della Comune di Parigi?
E poi che dire dei due protagonisti? Gli eroi non sono più “giovani e belli”, si avvicinano ai sessanta, iniziano a mostrare gli acciacchi e i segni dell’età. Eppure non hanno rinunciato a mettersi in gioco e a lottare contro l’ingiustizia, oltre che a sorprendere per la loro poliedricità. Quando non abborda navi o non si lancia all’attacco con la scimitarra in mano Sandokan cita Tacito e legge i filosofi greci e per calmarsi suona la spinetta eseguendo a memoria i brani di Vivaldi, Monteverdi, Scarlatti, Corelli e Albinoni. Mentre l’apolide Yanez, l’uomo dai mille travestimenti, parafrasa Pascal, conosce gran parte dei proverbi cinesi e mantiene un rapporto epistolare niente di meno che con Friedrich Engels sul ruolo del lavoro nell’evoluzione delle scimmie in esseri umani; sempre che non sia impegnato a combattere fianco a fianco col suo “fratellino” contro i servi dell’impero. Insomma gli elementi per spingervi alla lettura di questo libro ci sono tutti, anche perché crediamo che pur mantenendo i ritmi della narrativa contemporanea l’autore abbia confezionato un pregevole quanto fedele omaggio alla letteratura di Emilio Salgari, di cui è stato un assiduo lettore e a cui aveva già confessato di dovere molto, rinverdendo e “politicizzando” il genere del romanzo d’avventura. La trama, che immaginiamo volutamente si dipana in maniera più lineare rispetto ad altri suoi lavori, mano a mano diventa sempre più complessa raccontando anche gli sconvolgimenti economici e sociali che hanno segnato la storia del pianeta. Senza voler anticipare più del dovuto ci sembra che in alcune pagine Taibo II riesca a spiegare l’imperialismo meglio di tanti saggi:
“Mi rifiuto di riconoscervi come giudici” disse Yanez “Vedo di fronte a me tre cittadini britannici, in una città dove la maggioranza della popolazione è cinese o malese, giavanese o indiana. Voi non rappresentate Singapore o gli Stretti, ma soltanto quella vecchia decrepita che chiamate inopportunamente Vittoria. Qui non si tratta di pirati contro civilizzati commercianti. Voi avete edificato un impero con il sangue e gli affari. Lo avete fatto in India, a Sarawak, a Singapore, a Ceylon, a Hong Kong. Quando gli affari erano minacciati, arrivavano le cannoniere a sostenerli. Voi avete avvelenato migliaia di cinesi trafficando l’oppio. Avete fucilato migliaia di sepoy nel ’57. Avete manipolato Rajà e piccoli sultani mettendoli gli uni contro gli altri, per prendere il controllo delle loro terre. Voi parlate di civiltà, ma quando in questa parte del mondo sorgevano pagode e si edificavano i templi più belli al mondo, dedicati all’amore, la vostra civiltà era formata da orde di guerrieri che sollevavano il gonnellino per pisciare e dormivano sulla terra battuta dentro capanne di paglia.” Fece una pausa, accese una sigaretta, e riprese. “Voi parlate di progresso, di sviluppo, di invenzioni e innovazioni. Ma dietro ognuna di queste parole c’è il sangue dei coolies, dei braccianti delle piantagioni di tabacco di Batavia, dei minatori di Perak. Ci sputo sopra, alla vostra lurida civiltà, è barbarie cui è stata data una mano di vernice opaca che non riesce a nascondere la rogna e l’avidità.”
E prima di risalire sul nostro Praho, pronti a prendere nuovamente il largo e aveleggiare verso un’altra battaglia chiudiamo con l’ultimo ruggito:
Non mi hai capito, Tigre. Non voglio voglio ricostruire una piccola fortezza sull’isolotto che si chiamava Mompracem, voglio riocostruire l’idea di Mompracem, il mito di Mompracem, la leggenda di Mompracem: l’isola degli uomini liberi in un oceano di padroni e schiavi.
Ritornano le tigri della malesia/Paco Ignacio Taibo II/Marco Tropea Editore/16,90