CONSIGLI (O SCONSIGLI) PER GLI ACQUISTI
Da qualche mese si trova nelle librerie questo libricino di 120 pagine edito dalla manifesto libri. Un libro veramente interessante e ben fatto, che raccoglie una serie di riflessioni di più autori sulle condizioni del lavoro e dei lavoratori operai, soprattutto del nord Italia. Un indagine insomma, su quel mondo ormai sconosciuto che è il lavoro operaio in Italia. E si perché, una volta letto il libro, viene alla luce ancora più evidentemente la crisi che sta vivendo la sinistra sul piano sociale. Ma andiamo con ordine.
Il libro prende spunto da un inchiesta della FIOM del 2008 condotta su quasi 100.000 operai, l’inchiesta operaia in assoluto più vasta del panorama europeo. A seguito di questa inchiesta, integrata efficacemente con i dati ISTAT, vengono alla luce delle verità a dir poco sconvolgenti.
Innanzitutto, in Italia oggi ci sono 25 milioni di occupati, circa 5,5 milioni in più del 1970; di questi 25 milioni, il 76% sono lavoratori dipendenti, lavoratori salariati. Interessante notare come nel 1970 i lavoratori salariati erano il 71% degli occupati complessivi. Dunque, il lavoro dipendente e salariato aumenta. All’interno del lavoro dipendente poi, gli operai in senso stretto sono di gran lunga la parte più cospicua. Anzi, raggiungendo i 4,5 milioni di occupati, gli operai sono di gran lunga la categoria lavorativa più numerosa presente oggi in Italia. E non gli operai cognitivi, i precari della formazione, i lavoratori del sapere, o impiegati nei servizi, ma i veri e propri operai impiegati nei settori della manifattura come dell’agricoltura. Insomma, gli operai della grande industria. Ora, certamente è avvenuto un processo di trasformazione all’interno del mercato del lavoro, sono cresciuti enormemente i lavoratori nei servizi e nel terziario, così come il precariato ha contribuito a sfaldare l’unità quantomeno contrattuale dei lavoratori. Ma se consideriamo che tutti i lavoratori precari, considerando tutti i tipi di contratti atipici, sono in Italia circa 4 milioni, capiamo come in questi anni è avvenuta una rimozione ideologica del lavoro dipendente, fino a considerarlo scomparso o sorpassato. E invece, grazie all’inchiesta FIOM e a questo splendido libro, scopriamo che così non è. Anzi, addirittura i lavoratori salariati aumentano rispetto agli anni caldi delle lotte, agli anni 70.
Quindi, tirando le somme, il lavoro dipendente (dal capitale) e salariato aumenta e la tendenza è in un continuo aumento. Oltretutto, aumenta anche la sua incidenza rispetto al totale dell’occupazione. All’interno del lavoro dipendente poi, il lavoro operaio continua ad essere in espansione e ad aumentare anche in percentuale rispetto alle altre tipologie lavorative.
Questi i dati, parziali e introduttivi del libro. Detto questo, capire perché la sinistra è in crisi risulta perfino evidente, scontato. Anche un bambino di 10 anni potrebbe capire dov’è che si è aperta una frattura che si fa sempre più larga. Il lavoro dipendente in Italia non trova più una sua rappresentazione politica. A fronte di una crescita, sia in termini assoluti che in paragone alle altre forme di lavoro, del lavoro salariato, esso non trova più una parte politica che porta avanti i suoi interessi. Non trova più dei partiti di classe, dei partiti che svolgano il ruolo di espressione politica del lavoro salariato. Anzi, ancora di più, il lavoro è scomparso dall’agenda politica delle forze di sinistra. Non da quelle di destra ovviamente, che invece sono rimaste le uniche a parlare di lavoro, demolendo pian piano tutte le conquiste fatte negli anni di scontro e di lotta. Di fronte a questa mancanza di rappresentazione politica, scompare anche l’unità dei lavoratori, quella che una volta si sarebbe chiamata coscienza di classe, coscienza di appartenere ad una classe ben precisa. I lavoratori insomma trovano ancora nel sindacato la loro espressione sociale, ma non riescono più a trovare nel panorama politico il partito o il movimento capace di rappresentare i propri interessi. Non essendo etimologicamente di sinistra dunque, gli operai e in generale i lavoratori dipendenti non sanno più a chi rivolgersi. E così, danno un voto slegato da dinamiche di classe ma in base alle opinioni politiche generali, cioè quelle che si possono formare leggendo i giornali o guardando la tv. Ovviamente, questo comporta una distorsione fatale per la sinistra, che non controllando tv o mezzi d’informazione, si ritrova a non sapere più come parlare ai lavoratori. Lavoratori che si spostano più sul non voto che sul voto a destra, anche se non mancano importanti spostamenti di voto dalla sinistra alle forze neo populiste del centrodestra, quali la lega nord. Proprio il voto alla lega nord è centrale per capire quale sia la crisi politica che investe la sinistra e di conseguenza il lavoro dipendente. Non ragionando più in termini di classe, di scontro politico verticale fra lavoratore e padronato, l’appartenenza si sposta su altri temi, quali ad esempio quello territoriale. Spostandosi sul piano territoriale e non più di classe, la lega nord trova gioco facile a rappresentare frange di lavoro salariato che trova la sua caratterizzazione non più appunto nell’appartenere ad una determinata classe sociale, ma magari nel risiedere nel nord piuttosto che nel sud d’Italia, o ad altre dinamiche simili.
Insomma, in conclusione, la sinistra deve ripartire dal lavoro. Rimettere al centro dell’agenda politica il lavoro è l’unica soluzione che potrebbe risollevare le sorti della sinistra. Tornare a parlare di lavoro, tornare all’interno dei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, nei call center, così come nei quartieri nei quali risiedono i lavoratori. Tornare insomma a sporcarsi le mani. Non per fare il verso al sindacato, ma per cercare di convogliare politicamente una classe sociale ormai disorientata, che aumenta sempre di più ma che paradossalmente vede arretrare i propri diritti e le proprie conquiste sociali.