Consigli (o sconsigli) per gli acquisti
E’ di qualche settimana fa la pubblicazione di questo interessante saggio sulla situazione deprimente del mercato del lavoro in Italia. A prima vista si potrebbe trattarlo con sufficienza, snobbarlo, anche solo per il fatto che gli autori sono due massimi esponenti di quell’intellighenzia di centrosinistra che tanto male ha fatto alla cultura politica italiana degli ultimi venti anni (per essere buoni). E invece più lo si legge, e più si rimane sorpresi, diremmo anche sconcertati dal fatto di trovarsi d’accordo con codesti personaggi. Non tanto nella parte, diciamo così, costruttiva, e cioè nelle soluzioni che i due autori propongono per risolvere questo abominio, che è il mercato del lavoro presente oggi in Italia; quanto piuttosto per la parte analitica, la descrizione di cos’è oggi il lavoro in Italia, qual è la situazione reale della contrattazione che abbiamo nel nostro paese. Ora, partiamo da un presupposto, presente anche nel libro ma espresso qui con più chiarezza e radicalità: né il pacchetto Treu, né la legge 30 (legge Biagi) sono la causa della precarietà oggi in Italia. Il discorso su questi atti normativi, di regolamentazione del mercato del lavoro a tempo determinato, è di un altro tipo. La “colpa” di queste leggi è di gran lunga superiore a quella fin qui analizzata. Questi atti legislativi hanno sancito, regolato, delle tipologie lavorative già presenti nel paese da almeno 30 anni. Ora, un osservatore sprovveduto potrebbe anche essere d’accordo con la ratio di questi atti: legiferare là dove esisteva il far west, la contrattazione selvaggia. Ma in questo modo si è sanata l’illegalità; queste leggi hanno prodotto una sorta di sanatoria per tutte quelle tipologie contrattuali che prima esistevano fra il legale e l’illegale, potendo così combatterle anche a norma di legge. Mentre, una volta approvate queste riforme del mercato del lavoro, si è reso perfettamente legale quello che una volta si poteva combattere o regolare meglio. Sta qui la gravità di questo tipo di regolamentazione. Si è agito come con i condoni. Il problema è ovviamente l’abuso edilizio, ma se lo Stato lo sana, automaticamente lo rende legale e non più perseguibile, e soprattutto riproducibile. Così, si sono riprodotte come funghi le tipologie contrattuali, attualmente 44 solamente per i contratti a tempo determinato. Altro presupposto presente nel libro, da cui partire per capire come viene regolato il mercato del lavoro, ma soprattutto in nome di chi si cerca di regolare la contrattazione, è il seguente: a precisa domanda di una inchiesta condotta nel mondo del lavoro, e cioè: “Preferite un mercato del lavoro in cui è difficile trovare un lavoro, ma una volta trovato, è molto difficile perderlo, oppure un mercato del lavoro in cui è facile sia trovare che perdere un posto di lavoro?”,
la netta maggioranza degli intervistati ha dichiarato di preferire un mercato del lavoro rigido, in cui è molto difficile trovare un impiego, ma una volta trovato è molto difficile perderlo. In culo a tutti gli alfieri della flessibilità, potremmo dire con un francesismo. Il problema però è molto più grave di quello che appare. Per anni abbiamo ascoltato, letto, visto, percepito un elogio continuo, una battaglia culturale a favore della flessibilità buona (contrapposta alla precarietà), che non esiste nella testa degli italiani, nel mondo dei lavoratori. Il lavoratore vuole il posto fisso, vuole avere delle certezze per potersi costruire una vita; quale diavolo di flessibilità può essere positiva se determina solo incertezza in quello che sarò fra una settimana, fra un mese, fra un anno? Fatte queste premesse fondamentali, è necessario capire come è strutturato attualmente il mercato del lavoro. Non potendo essere esaustivi per ragioni di tempo e di spazio, rimandiamo comunque al libro che vale la pena leggere molto attentamente per capire gli assetti della contrattazione in Italia. Faremo qui dei brevi cenni, un invito ad approfondire i problemi che vengono qui riportati. L’analisi del libro è molto chiara e impressionante; esiste oggi un doppio mercato, da una parte i lavoratori a tempo indeterminato, diciamo così il nocciolo stabile, sfruttato, ma per certi versi ipergarantito, e dall’altra i lavoratori a scadenza, che fanno da contorno al lavoratore stabile e fungono da perno necessario alle imprese per essere competitive, rappresentando il vero pluslavoro che genera ulteriore plusvalore per le imprese. Non avendo più la liretta svalutabile ogni 3 mesi, non investendo più nella ricerca e nell’innovazione, avendo delocalizzato tutto il delocalizzabile, il sistema economico italiano si è trovato di fronte ad una crisi senza precedenti recenti. La crisi è stata risolta ovviamente all’italiana, e cioè nel modo più semplice e truffaldino possibile: facendo pagare ai lavoratori il costo della ristrutturazione del sistema economico. E quindi, da una parte è stato attaccato il salario, cioè il prezzo con cui viene scambiato il lavoro, e ciò è avvenuto con gli accordi del Luglio 1993. Accordi che rappresentano il punto più basso di sempre della politica sindacale italiana, la fine della scala mobile, l’inizio del tracollo salariale dei lavoratori italiani, insomma, era cominciata l’epoca della concertazione.Il problema è che non bastava più prendere i soldi necessari dalle buste paga dei lavoratori, si dovevano pensare altri strumenti per rendere più conveniente continuare a produrre ancora in Italia. E’ così, nel 1997 è arrivato il pacchetto Treu, la più vasta regolamentazione della contrattazione atipica che sia mai stata fatta in Italia prima della legge Biagi. E ciò ha prodotto la sanatoria di cui parlavamo prima, la legalizzazione della contrattazione selvaggia a tempo determinato, l’introduzione, nel mercato del lavoro, di milioni di precari assoggettabili a qualsiasi ricatto padronale, senza nessun tipo di tutela e di garanzia, licenziabili in ogni momento, insindacalizzabili e/o impoliticizzabili. E così, non investendo più, non essendo più competitivo in nessun campo economico che non siano alcuni settori di nicchia, il sistema Italia è andato avanti facendo perno sul precariato, che gli sta garantendo quel minimo di ossigeno per andare avanti, in attesa del declino. Ma quanti sono i precari in Italia? Secondo una ricerca, i precari certi, quindi togliendo chi vive di precarietà in nero, sono quattro milioni e cinquecentomila persone, il 20% dell’intero mercato del lavoro italiano. Questo 20% si è sviluppato e legalizzato tutto in questi ultimi 10 anni. E’ così ha dato adito ai governi di tutti i colori di spararla sempre più grossa sui milioni di posti di lavoro creati. Ma questa è appunto una delle più grosse bugie prodotte dal potere. Questo per due motivi; non solo questi posti di lavoro esistevano anche prima delle regolamentazioni recenti, ma sono solamente usciti allo scoperto una volta resa legale ogni forma di contrattazione atipica, ma soprattutto perché, a fronte di questa enorme creazione di occupazione che ha portato l’Italia per la prima volta nella sua storia ad avere una disoccupazione che si aggira intorno al 6%, non si è creata ricchezza, anzi si è creata sempre più povertà. Come è possibile che gli italiani si siano tanto impoveriti, ogni anno di più, facendo comunella con Grecia e Portogallo in tutte le statistiche europee, a fronte di un abbattimento della disoccupazione così ampio? Semplice: perché si è creato lavoro senza produrre, senza creare ricchezza; si è avuta una crescita dell’occupazione senza crescita economica. Gli italiani stanno diventando sempre più poveri. Si è dato vita ad un mercato sempre più drogato, in cui più si lavora e più ci si impoverisce, perché non si innova più, non c’è più sviluppo, tutto il baraccone si regge sulla possibilità per le imprese di sfruttare questo nuovo tipo di soggetto, il lavoratore atipico, che gli consente di fare il proprio comodo al riparo da qualsiasi vertenza sindacale, di qualsiasi regolamentazione del rapporto lavorativo che non sia la data di scadenza del contratto. E’ una forma di capitalismo selvaggio, una sorta di fase nuova o malata del neoliberismo, che non sviluppa più il solito sistema di ristrutturazione del capitale, e cioè bassi salari e innovazione industriale, ma è tutto poggiato su un sola parte, quella di chi vende la propria prestazione lavorativa. E così si determina la crisi, che è crisi di sovrapproduzione perché la gente non ce la fa più a spendere, a comprare, e i magazzini rimangono pieni di roba invenduta, che genererà di conseguenza, a partire da Gennaio, licenziamenti di massa. Licenziati proprio perché non c’è più bisogno di produrre, ma soprattutto licenziati perché non c’è nessuno che lo vieti, un contratto stabile, degli ammortizzatori sociali, un reddito minimo. No, è qui la svolta decisiva. Il lavoratore atipico rappresenta appunto il surplus, che consente al padrone di riadattarsi velocemente al cambiamento delle condizioni economiche che lui ha provocato. Attorno al nucleo di lavoratori stabilizzati, comunque non al riparo dai licenziamenti ma con una serie di paracadute sociali alle spalle, naviga questa schiera di lavoratori atipici che servono al capitale per riadattare la produzione. E’ per questo che il precariato è un concetto di classe, la precarietà lo strumento che si è dato il capitale negli ultimi venti/trenta anni per fare fronte alle cicliche crisi produttive. Qual è la soluzione che Pietro Garibaldi e Tito Boeri propongono alla fine di questa analisi che qui solo accenniamo, in parte anche rivisitata da noi? Ma guarda un pò, tornare al contratto unico a tempo indeterminato. La scoperta dell’acqua calda, diremmo noi. Ma è sbalorditivo che dopo anni di elogio alla buona flessibilità, al mercato del lavoro più aperto, si ritorni a riproporre soluzioni contrattuali anni sessanta. Ovviamente questo contratto, gli autori lo spiegano bene, non è un semplice ritorno al tempo indeterminato, al posto fisso intoccabile; la cosa è più articolata. Ma è il concetto che sbalordisce: di fronte alla crisi, mondiale ma soprattutto italiana da quindi anni a questa parte, le soluzioni che gli economisti portano avanti sono quelle di sempre. Ma pensa un po’, col contratto a tempo determinato una persona non riesce a crearsi una famiglia, un futuro, non riesce neanche a spendere per far girare l’economia…e allora la soluzione qual è? Il contratto a tempo indeterminato sin dall’inizio del rapporto lavorativo.
E NOI CHE ABBIAMO RIPTETUTO IN TUTTI QUESTI ANNI?
E tutti gli insulti vomitati addosso dal potere? Vecchi, anacronistici, comunisti, filosovietici… noi, che non ci capivamo un cazzo di economia, come ci permettevamo di parlare di lavoro. Detto ciò, invitiamo tutti a leggersi il libretto, con occhio critico ovviamente, ma con la consapevolezza di poter dire, una volta tanto, che noi l’avevamo detto.