Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: La guerra partigiana, a cura di Emilio Quadrelli
L’ultima fatica intellettuale di Emilio Quadrelli è anche quella in cui ci sembra tirare le somme di un lungo ragionamento. La direzione intrapresa sin da “Gabbie Metropolitane” giunge, quasi un decennio dopo, a una sintesi sempre più chiara e definita. Questa volta, il libro si presenta come raccolta di una serie di testi delle maggiori personalità politiche del movimento comunista internazionale (Marx, Engels, Lenin, Stalin), testi di volta in volta introdotti dall’autore da commenti che ne chiariscono il significato politico sostanziale. Sono proprio i commenti di Emilio Quadrelli a trasformare una raccolta di per sé importante in un testo significativo per comprendere le radici politiche del presente, inquadrare il pensiero delle classi dominanti e attrezzarsi culturalmente per farvi fronte. Le introduzioni ai testi, che costituiscono – come abbiamo detto – il vero dato rilevante del lavoro, portano a sintesi il percorso politico dell’autore. In particolare, ad essere inquadrata politicamente e storicamente è la figura del partigiano, il soggetto storico che, ben lungi dal costituire una mera figura para-militare, è espressione e sintesi del rapporto tra politica e guerra. In questo senso, come ampiamente riferito nei lavori precedenti, Emilio chiarisce come il momento militare non possa essere distinto da quello politico, e che anzi quest’ultimo sostanzia in tutto e per tutto il primo. La guerra non è un fatto tecnico-scientifico, ci dice giustamente l’autore, ma una delle varianti del discorso politico. La guerra è insita nella politica, e quella è condotta in base ai rapporti di forza sociali concretamente presenti in un dato momento storico. Per dirla altrimenti, il Novecento ha significato la fine della guerra interstatuale “simmetrica”, in cui borghesie nazionali si scontravano all’interno di uno stesso ordine discorsivo, per l’irrompere delle masse politicamente organizzate sulla scena del potere. Questo fatto ha spostato i termini del confronto da uno scontro insito nel medesimo ordine, a uno fra ordini diversi. In questo senso, il partigiano non è un semplice combattente “irregolare”, ma espressione militare dell’alternativa al potere politico costituito.
Il cambiamento dell’ordine discorsivo militare di quest’ultimo ventennio non è altro che il cambiamento dei rapporti di forza interni alla società capitalista. Il modello coloniale viene riproposto in tutto e per tutto all’interno della metropoli imperialista. L’inclusione sociale non è più appannaggio di un centro ricco, opposto all’esclusione delle periferie produttive. Esclusione ed inclusione, produzione ed emarginazione convivono all’interno dello stesso scenario imperialista, ed il modello coloniale è utilizzato come paradigma al quale adeguare intere fasce di popolazione, tendenzialmente maggioritarie. L’esclusione sociale non è altro poi che un’esclusione politica, l’impossibilità per queste masse di pensarsi e di organizzarsi in funzione di un’alternativa di potere. In quest’ottica, la figura del partigiano scompare, da una parte fatta rifluire tra le bizzarrie della storia, semplice aiuto popolare alla guerra ufficiale; dall’altra negata a prescindere laddove nel mondo questa viene riproposta. L’utilizzo ideologico del termine *terrorista* altro non è che parte di una costruzione culturale-politica mirante esattamente a questo: chi non si adegua al modello di produzione o di sfruttamento politico e coloniale, viene privato di una sua dignità politica (ancorché criticabile, come il radicalismo religioso), e descritto unicamente nei termini dell’invasato, del marginale, del narcotrafficante, dell’escluso. Qualsiasi sia la tipologia descrittiva, il cuore del discorso è che il combattente, soprattutto quando in armi, viene narrato come parte deviante di un unico modello politico, che poi è la liberal-democrazia occidentale. E le motivazioni di questa devianza sono sempre descritte come individuali-psicologiche, e mai collettive e politiche.
Non aggiungiamo altro a queste brevi riflessioni prodotte dalla lettura di questo testo, che segna un deciso passo in avanti di Emilio nella definizione teorica del suo pensiero, che è anche parte integrante della linea politica della rete nazionale Noi Saremo Tutto. Ne consigliamo dunque la lettura e lo studio, anche perché non sono troppi ormai gli autori che riescono a confrontarsi con il pensiero comunista del Novecento riuscendone a cogliere non il semplice valore storico, ma la sua attualizzazione politica. Quadrelli riesce proprio in questo: a farci capire cosa può essere ancora sfruttato di quel pensiero e di quegli eventi, che ancora oggi costituiscono il punto più alto raggiunto dalle classi lavoratrici.
E. Quadrelli, B. Ponomariov (a cura di), La guerra partigiana, edizioni Gwynplaine, 286 pp, 15 euro