Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: Ricostruire il Partito Comunista
Il titolo di questo libro, a metà fra saggio e confronto pubblico, ci ha immediatamente incuriosito. Effettivamente, spulciando fra gli scaffali politici delle librerie, fra testi tutti uguali che anticipano i soliti argomenti, l’occhio non poteva non cadere su un libro dal simile titolo. Anche il sottotitolo, appunti per una discussione, appariva azzeccato: non un serio manuale per lo più inadatto al grande pubblico, ma una più leggera discussione, discorsiva, capace di mantenere sempre alta l’attenzione del lettore anche non addetto ai lavori. Molto meno convincente, invece, il nome di Diliberto fra gli autori, il vero ostacolo all’acquisto del libro. Nonostante ciò, decidiamo comunque di comprarlo (ma non biasimiamo chi considera la presenza di Diliberto come un ostacolo insormontabile), convinti dal titolo e dalla presenza di Vladimiro Giacchè, uno tra i migliori filosofi e saggisti italiani, che abbiamo seguito costantemente in questi ultimi anni.
Nonostante Diliberto, il libro è molto bello. Inaspettatamente bello. Non tanto la parte riguardante le proposte politiche su come ricostruire un Partito Comunista in Italia, proposte che palesemente risentono dell’impostazione Dilibertiana, PDCIsta e Picista di un certo modo di fare politica, che infatti ha portato alla dissoluzione di un patrimonio politico e culturale di cui oggi rimangono solo le macerie. No, il punto forte del testo è l’analisi di classe dei processi politici e sociali avvenuti dal 1989 ad oggi in Italia e nel resto del mondo.
Il libro parte con una non scontata riflessione sul ruolo dell’Unione Sovietica nei suoi settant’anni di vita: una rilettura dell’esperienza socialista non liquidatoria, che indaga sull’importanza dell’esperimento storico sovietico senza nasconderne i problemi ma problematizzandoli da un punto di vista dialettico e propositivo, e non meramente deterministico, ma soprattutto riconoscendone l’importanza capitale nel movimento comunista internazionale.
Altro grande pregio del libro è quello di non assumere un’impostazione eurocentrica. Sebbene risenta dell’innamoramento dilibertiano verso la Cina, il testo ha la forza di analizzare i processi sociali avvenuti in America Latina e di prenderli come esempio. Fatto questo insolito per la sinistra italiana, abituata piuttosto a dare lezioni che ad apprenderle da chi nel frattempo è riuscito parzialmente a cambiare lo stato di cose presenti nei vari contesti territoriali.
Altro grande merito del libro è quello di non leggere la storia italiana dell’ultimo ventennio unicamente in funzione anti-berlusconiana, ma di apportare un’analisi di classe di quelli che sono stati i cambiamenti che hanno influito nel panorama politico italiano; dalla fine dei blocchi contrapposti al ritorno alla guerra come elemento centrale dello sviluppo imperialistico capitalista, alla trasformazione avvenuta all’interno delle classi sociali italiane e alla ridefinizione del paesaggio politico seguito a questi cambiamenti, per concludere nell’incredibile (incredibile considerato che stiamo parlando di un volume cui ha collaborato anche Diliberto!) presa di coscienza che il potere, anche il potere politico, non risieda più nei parlamenti e negli organi istituzionali nazionali ma nella governance transnazionale capitalistico-finanziaria. E che i parlamenti, semmai, sono luoghi in cui è possibile la rappresentazione di un unico campo politico-economico, e cioè quello della borghesia, ora conservatrice, ora democratica.
Una serie di analisi che ci vedono concordi, prima di arrivare alla parte propositiva che, come abbiamo detto, risente del percorso storico di uno degli autori. E quindi, nonostante alcune prese di coscienza non indifferenti nelle premesse analitiche, si ribadiscono i soliti errori: dalla rappresentanza elettorale come bene fine a sé stesso alla politica dei fronti elettorali contro le destre (smentendo la presa di coscienza che non esistono una destra e una sinistra parlamentari oggi, né sono possibili allo stato di cose presenti).
Detto questo, potremmo parlare di tanti altri aspetti più o meno convincenti del testo, ma stiamo già chiedendo troppo. Ricostruire il Partito Comunista è un libro che neanche avremmo pensato di leggere, e invece ci ha addirittura stupito per alcune riflessioni non scontate, soprattutto per un testo destinato ad un pubblico non specialistico e, se non di massa, quantomeno più numeroso della media dei lettori di saggi politici.