Cosa vuole veramente Marchionne?
Al di là di quello che ci possono raccontare i media e i portavoce dei politici, sia noi che il capitale sappiamo benissimo che questa che loro chiamano crisi non è altro che un percorso ultra-decennale di perdita del potere d’acquisto dei lavoratori. Se i lavoratori hanno sempre meno soldi di conseguenza potranno comperare sempre meno cose. Per un po’ l’utilizzo sconsiderato (ma incentivato dal capitale) del debito (mutui, prestiti, rate, ecc..) ha funzionato come calmante e sbocco del mercato, ma ad un certo punto è crollato. Dunque, il consumo si riduce, le merci prima si accumulano invendute nei magazzini, poi viene drasticamente ridotta la produzione delle stesse. Produrre di meno significa che alle aziende, nelle fabbriche o nei negozi occorrono meno lavoratori, dunque la disoccupazione crescerà, alimentando la perdita ulteriore di potere d’acquisto dei lavoratori. E’ un circolo vizioso, che può arrestarsi solamente facendo recuperare potere d’acquisto a chi lavora, consentendo così un aumento dei consumi che favorisca una ripresa della produzione così da aumentare l’occupazione e di conseguenza aumentare i redditi disponibili ad acquistare le merci prodotte. E’ una legge, anche fra le più risapute, del modello di sviluppo capitalista. La sappiamo noi come la sanno i padroni. Eppure continuano a non muoversi in questa direzione. Anzi.
Capofila di questa reazione economica alla crisi, almeno nel nostro paese, si sta rivelando Marchionne, il capitano d’impresa, quello che piaceva tanto a Bertinotti. L’assunto base di Marchionne, e di riflesso di tutti gli altri padroni, e dei politici che dovrebbero governare questo sviluppo, è invece centrato sulla produttività. Bisogna, a sentir loro, migliorare la produzione, consentendo a meno lavoratori di produrre di più e meglio. Aumentare la quantità di merci prodotte per lavoratore, o produrle in maniera più economica. Questa cosa però è in netta contraddizione con quello che abbiamo detto prima e che sanno benissimo pure loro: o di merci ce ne sono troppe rispetto a quante ne può assorbire il mercato (come ci ha insegnato questa e tutte le altre crisi precedenti del capitale), oppure ce ne sono troppo poche e bisogna cercare di farne produrre di più ai lavoratori (come cercano di farci credere i padroni). Invece c’è una terza spiegazione, ed è quella a cui stanno puntando da anni i padroni e i Governi dei paesi occidentali.
Se i mercati occidentali sono da alcuni anni saturi oltre ogni eccesso, così però non lo è il mercato mondiale nel suo complesso. Esiste, nel mondo, un miliardo e mezzo di potenziali consumatori che attendo con ansia il loro ingresso nel consumismo tipo-occidentale. E sono gli abitanti della Cina e dell’India. Se il cittadino italiano non può più comprare un cazzo, non è detto che altrove questo non sia possibile, anzi, nel corso dei prossimi anni saranno proprio i consumatori di questi paesi che trascineranno lo sviluppo mondiale. Alcuni paesi già vivono quasi esclusivamente di export: è il caso della Germania, primo esportatore mondiale, di cui tutti in questi giorni tessono le lodi come paese locomotiva della ripresa. Ed è proprio la Germania l’esempio (negativo) a cui guardare, e soprattutto stanno guardando le economie occidentali, rappresentate in Italia da Marchionne. Al dirigente FIAT, così come ad ogni altro dirigente occidentale, non interessa più far consumare i suoi prodotti nei paesi occidentali, ma esportarli per farli consumare altrove, e in particolare, oggi e nei prossimi anni, in oriente.
Cosa significa tutto questo nel medio e nel lungo periodo? Significa che nei paesi occidentali le condizioni di vita peggioreranno sempre di più. Aumenterà la produzione, destinata ai mercati orientali, ma diminuiranno i diritti e i salari di chi produce in occidente. Ai primi accenni di protesta, le aziende dislocheranno la loro produzione all’estero, nei pesi del secondo e terzo mondo, perché mancherà quell’incentivo fondamentale che fino a qualche anno fa le teneva ancorate ai territori di appartenenza, e cioè il consumo interno. I mercati interni dei paesi occidentali interesseranno sempre di meno al mercato, dunque sarà sempre meno importante garantire, a chi vive in questi paesi, la possibilità di un reddito idoneo ad acquistare merci. La tendenza sarà quella di spostare sempre di più la produzione all’estero e rivendere queste merci sempre all’estero.
Tutto questo durerà fino a quando non si svilupperanno anche in questi paesi, Cina e India su tutti, dei movimenti di resistenza a questo sviluppo economico. In particolare, quando non si svilupperanno sindacati forti che costringeranno la produzione a garantire maggiori diritti e stipendi ai lavoratori locali. Facendo così diminuire drasticamente il saggio di profitto (ma questa è un’altra storia).
In conclusione, il processo assomiglierà molto a quello avvenuto nei paesi occidentali cento o duecento anni fa. Per quanto ci riguarda, invece, dovremmo convivere per molto tempo con condizioni di vita che tenderanno a peggiorare, inevitabilmente, e nel lungo periodo a livellarsi a quelle dei paesi emergenti, che nel frattempo si saranno allineati. Staremo a vedere. L’importante è avere ben chiaro questo concetto: che Marchionne è il capofila, un simbolo, di quello che avverrà con sempre maggiore forza nei prossimi anni. Capirlo, significherà essere già a metà della soluzione.