“Da una scintilla nascerà una fiamma…” Per Lenin
Concludiamo oggi la rassegna delle “canzoni dalla quarantena”. Oggi e non il 25 aprile o il 4 maggio, perchè oggi – 150 anni fa – nasceva Lenin, e ci sembra la cosa più interessante da “celebrare” di questi tempi. Non per mettere in contrapposizione Lenin al 25 aprile, ma dobbiamo anche dirlo: non se ne può più di questa melassa liberale che ha trasformato la Liberazione in una giornata dei buoni sentimenti e della concordia, dell’unità nazionale e della Costituzione. Cosa ce ne facciamo di una roba che accomuna destra e sinistra, liberali e liberisti, europeisti e sovranisti? Certo il mercato elettorale impone che si metta in scena il teatrino degli smarcamenti, con Salvini e La Russa da una parte, Mentana e Zingaretti dall’altra. E poi l’Anpi e l’Arci, la Cgil e la “magistratura democratica”: cosa ce ne facciamo? Niente. Ha senso un’Anpi senza più combattenti partigiani, divenuta rifugio di parenti e amici del carrozzone “democratico”? No. E allora lasciamo festeggiare questo 25 aprile sterile e imputridito a chi ne ha fatto una bandiera di “democrazia” e di “partecipazione”, cantando Bella ciao mentre tagliava salari e privatizza tutto il privatizzabile. E’ una bandiera loro, oramai, destituita di ogni carica conflittuale. Se la tenessero, non abbiamo mai avuto amore dei feticci.
Anche Lenin, nel ricordo del “comunismo compatibile”, è divenuto feticcio. Preferiamo allora ricordare un Lenin diverso, sottraendolo alle mene storiciste, tentando di ricollocarlo nel solco della rivoluzione, vera, non mimata nè enfatizzata.
La decisione di creare l’«Iskra» (La Scintilla) fu presa a Pskov tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo del 1900 nella casa del socialdemocratico Radčenko e di sua moglie Ljuba. Vi si riunirono Lenin, Martov e Potresov, tornati dall’esilio in Siberia, e decisi a imprimere una svolta all’attività organizzativa e politica del marxismo russo. Le discussioni furono appassionate e convergenti. I tre giovai uomini concordavano sulla necessità di combattere la diffusione del revisionismo di Bernstein in Russia, e di offrire al lavoro dei militanti socialdemocratici un coordinamento centralizzato e un indirizzo ideologico e politico inequivocabilmente rivoluzionario. Sul numero 4-5 del Rabocie Dielo, uscito nel dicembre del 1899, era già stata pubblicata la Protesta dei socialdemocratici russi contro le tesi contenute nel Credo simil-bernsteiniano redatto in quello stesso anno dalla Kuskova. La Protesta era stata scritta da Lenin. Nella conclusione dell’articolo si legge: «Le tradizioni di tutto il movimento rivoluzionario precedente esigono che la socialdemocrazia concentri al presente tutte le sue forze sull’organizzazione del partito, sul consolidamento della disciplina nel suo seno e sullo sviluppo della tecnica cospirativa. Se i militanti della vecchia “Volontà del popolo” hanno saputo esercitare una funzione di primo piano nella storia russa, nonostante che gli strati sociali che sostenevano quel pugno di eroi fossero assai ristretti, nonostante che la bandiera di quel movimento fosse una teoria tutt’altro che rivoluzionaria, la socialdemocrazia, appoggiandosi alla lotta di classe del proletariato, saprà diventare invincibile».
Durante le discussioni di Pskov, alle quali parteciparono anche gli allora “marxisti legali” Struve e Tugan-Baranovskij, venne stabilito di proporre ai tre “vecchi” dell’emigrazione (Plechanov, Aksel’rod e Zasulič) la creazione di un giornale politico (l’«Iskra») e quella di una rivista teorica («Zarja», L’Aurora). Una nota di colore è reperibile nelle memorie della Krupskaia: «Ilic mi raccontò una volta ridendo come le bimbe di Radčenko, Geniurka e Liuda, imitavano lui e Potresov. Le braccia incrociate sulla schiena, andavano su e giù nella camera, mentre una ripeteva sempre “Bernstein” e l’altra rispondeva “Kautsky”». Quanto al nome del giornale, «Iskra» fu proposto da Potresov, come anche la sua epigrafe: «Da una scintilla nascerà una fiamma». Entrambi erano tratti da un verso del poeta Aleksandr Ivanovič Odoevskij (1802-1839), che, dai lavori forzati in Siberia, nel 1827, aveva risposto a un’ode di Puškin dedicata appunto ai decabristi.
Diamo il testo della poesia di Puškin e poi quello della «Risposta» di Odoevskij.
Nel profondo di miniere siberiane
Serbate pazienza altera,
Le vostre pene non saranno vane
Né l’alto volo dei pensieri.
Fida sorella di sventura
La speranza ridesterà
Nel buio sottosuolo la forza e l’allegria,
L’ora anelata verrà:
A voi verranno amore e amicizia
Attraversando le tetre serrature,
Come alle vostre tane di galera
Libera la mia voce giungerà.
Cadranno i grevi ceppi, crolleranno
Le prigioni – e libertà
Vi accoglierà gioiosa sulla porta,
I fratelli le spade vi ridaranno
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Suoni infuocati di corde profetiche
Al nostro orecchio son giunti,
Le nostre mani alle spade son corse,
E solo ceppi hanno trovato.
Ma quietati bardo! – in catene,
Siamo fieri della nostra sorte,
E dietro le serrature della prigione
In cuore ridiamo degli zar.
Le nostre pene non saranno vane,
Da una scintilla nascerà una fiamma,
E il nostro popolo illuminato
Si riunirà sotto la giusta bandiera.
Dalle catene forgeremo spade
E riaccenderemo la fiamma della libertà!
Essa piomberà sui re,
E con gioia respireranno i popoli!
Il video che proponiamo per concludere è emozionante. La bambina declama interamente la poesia di Odoevskij. Si deve perdonare il commento musicale, abusato e scarsamente originale, di Orff. L’immagine finale, invece, è la riproduzione di un quadro del pittore contemporaneo Ivan. P. Krivshinko. Il nome del dipinto è «Decabristi. E in Siberia c’è il sole. Arrivo della moglie di N. Muravyov».