Daje Giulio!
Molti di noi sono stati licenziati o hanno avuto quantomeno problemi sul lavoro per “motivi politici”. Sgomberiamo il campo da dubbi: per noi non è mai un motivo di vanto, ma solo la causa di problemi e rogne. Prima di tutto, la necessità di trovarne un altro, di lavoro. D’altro canto, siamo anche consapevoli che i comunisti debbano dare fastidio, anche e soprattutto sul posto di lavoro, “meritandosi” la vendetta del padrone. Assai improbabile immaginarci a braccetto con le élite e le oligarchie: qualcosa non tornerebbe. Del resto lo diceva già Marx. “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma il loro essere sociale che determina la loro coscienza”.
Nonostante questa premessa, rimaniamo sbalorditi quando leggiamo, su Il Pane e le Rose (categoria “Capitale e lavoro: licenziamenti politici”), che un compagno che stimiamo e con cui abbiamo collaborato, Giulio Palermo, è sotto inchiesta dal Collegio di disciplina del Cun (Consiglio Universitario Nazionale). La sua università (Brescia) ha chiesto per l’imputato la sospensione di un anno dall’insegnamento e dallo stipendio. Giulio Palermo, divenuto ricercatore di Economia politica presso l’Università di Brescia in seguito a un ricorso al Tar, si è meritato da subito le attenzioni della destra politica e la mancata solidarietà della sinistra universitaria. Un anno fa, ad esempio, l’appoggio che Giulio Palermo diede agli operai migrati saliti su una gru del cantiere della metropolitana contro la sanatoria truffa provocò addirittura un’interrogazione parlamentare da parte di un oscuro leghista, dal momento che Palermo aveva invitato gli studenti a rifiutare l’assedio poliziesco che coinvolgeva il cantiere e la vicina università. Successivamente, un suo libro sul sistema di reclutamento baronale dentro l’università è stato bloccato dall’editore Carocci a pochi giorni dalla pubblicazione (è poi uscito con i tipi delle Edizioni Punto Rosso, “L’università dei baroni”). Al di là dei singoli episodi, proponiamo un ragionamento: è mai possibile che l’università italiana si ponga come obiettivo punire, professionalmente ed economicamente, il compagno Giulio Palermo? Cioè: stiamo parlando dell’Università italiana, un’istituzione che ha al suo interno docenti indagati (e spesso condannati) per i reati più gravi (plagio, concussione, corruzione, molestie, percosse, stupro, omicidio). Fascisti, razzisti, antisemiti, corruttori e corrotti: quanto di peggio esiste all’interno del genere umano trova spazio tra i baroni e gli aspiranti baroni universitari. La cosa assurda è che ogni volta scattano meccanismi corporativi di difesa, anche di fronte a casi indifendibili. Ebbene, questa masnada di squallidi personaggi adesso ha individuato in Giulio Palermo il suo nemico, se non addirittura il problema dell’università. La cosa assurda, su cui varrebbe la pena riflettere, è che il compagno romano-longobardo non svolge nessuna attività tecnicamente rivoluzionaria: insiste nel ricordare come l’università debba essere il luogo della riflessione critica e della produzione del dubbio, possibilmente mediante un metodo razionale. Insiste nel ricordare che il capitale, l’industria, il padronato non sono interlocutori (meno che mai sponsor), ma avversari, soprattutto in un’aula universitaria. E che le guardie ne rappresentano il braccio armato, dentro i campus universitari come al di fuori. Anni fa (molti), sulla rivista “Lavoro politico” veniva scritto: “Non si può avere una università democratica in una società capitalistica”.
Solidarietà a Giulio Palermo, proletario in cattedra.