Di decoro urbano e controllo sociale
Pochi giorni fa l’assemblea capitolina ha approvato a larga maggioranza il nuovo regolamento di polizia urbana, norma fortemente richiesta e resasi necessaria dopo circa 70 anni dall’approvazione dell’ultimo regolamento di questo tipo nella Capitale. Un nuovo regolamento che interrompe la lunga stagione delle ordinanze straordinarie, definendo la lunga lista dei divieti cui il “buon” cittadino deve sottoporsi per vivere in città, se non vuole essere sanzionato con il famigerato “Daspo Urbano”, che consiste nel divieto di accesso a determinate aree della città per 48 ore.
Il grosso del regolamento è chiaramente dedicato alla tutela del patrimonio artistico della città e dell’industria del turismo di massa ad esso collegata: a partire quindi dalle norme anti-graffitti e anti-stickers sulla segnaletica urbana (grande patrimonio artistico evidentemente) fino alla tutela delle fontane e dei nasoni, passando per il divieto di svolgere “qualsiasi attività che, dietro offerta o corrispettivo di denaro, anche pattuito al momento, configuri la mercificazione della propria o altrui persona, come soggetto fotografico anche con abbigliamento storico o costumi in genere” per i “centurioni” e per tutti i saltafila e i venditori abusivi nelle zone Unesco e quindi maggiormente attraversate dai flussi turistici. Per non parlare poi dei divieti di rovistaggio e prelievo dei rifiuti, altra grave minaccia alla sicurezza urbana.
Un’altra parte del regolamento è invece dedicata al consumo e alla vendita di sostanze alcoliche, individuata come causa principale dell’inquinamento acustico generato dalla movida in diverse zone della città, e per questo sostanzialmente vietata di notte. È evidente che non è nelle intenzioni di nessuno andare a intervenire sulla causa di tutto ciò, ovvero la privatizzazione dello spazio pubblico e il proliferare di licenze per la somministrazione in zone specifiche della città, trasformate in divertimentifici a discapito degli abitanti.
Il regolamento è l’apoteosi di una stagione politica cittadina, iniziata con la creazione delle squadre speciali anti-degrado della polizia municipale capitanate da Antonio Di Maggio e con il movimento Retake, che confonde l’effetto con la causa del degrado che è sotto gli occhi di tutti. Siamo d’accordo sull’effetto, il degrado, ma la causa è evidentemente da cercare altrove. La chiusura di intere aree urbane, la creazione di quartieri artificiali anestetizzati dalle contraddizioni sociali, l’espulsione di intere fasce di popolazione dalla città consolidata verso zone totalmente prive di servizi; in poche parole: la gentrificazione di pezzi importanti di città. Andando avanti, è l’assenza di lavoro che porta all’abusivismo, apporre un divieto e dare il Daspo evidentemente non risolve il problema.
Sono la carenza di servizi, l’assenza di tutele sul lavoro e la chiusura effettiva di pezzi di città alla popolazione che dovrebbero essere oggetto di regolamenti anti-degrado, così come i legislatori dovrebbero semplicemente dare ascolto ai comitati locali e alle organizzazioni di cittadini per risolverne i problemi, piuttosto che perseguirli penalmente e inventarsi nuove norme e nuovi divieti.
Eppure, ancora una volta, si parte dalla repressione dei comportamenti potenzialmente pericolosi piuttosto che dai diritti sociali. Secondo lo schema già sperimentato dai Decreti sicurezza – sia Minniti-Orlando che Salvini – si minacciano con anni di galera, sanzioni amministrative e provvedimenti di allontanamento gli individui e si difende la Proprietà e la grande concentrazione finanziaria.
Emblematica è la vicenda che ha portato quest’inverno alla nascita della campagna “Il blocco stradale NON può essere reato. Stralciamo le multe”. In corrispondenza con l’approvazione del DL Sicurezza Salvini, che ha ripenalizzato il reato di blocco stradale, la Prefettura di Roma viene sollecitata a dare la priorità alle sanzioni amministrative per blocco del traffico, una fattispecie giuridica e amministrativa che, nel corso degli anni, militanti, attivisti, operai della logistica, disoccupati di tutta Italia si sono visti piovere addosso per blocchi stradali, manifestazioni non autorizzate, picchetti anti-sfratto, mobilitazioni per il diritto all’abitare e per tante altre lotte che hanno animato le piazze del nostro paese negli ultimi anni. Di conseguenza decine di attivisti si vedono recapitare un’ammenda salatissima ( circa 2600 euro) per aver partecipato al corteo solidale dopo lo sgombero, nell’agosto del 2015, dello studentato occupato Degage.
La campagna, cui abbiamo aderito e che ha organizzato per giovedì prossimo un’assemblea con diversi invitati sia dal mondo giuridico che da quello sindacale e di movimento (link all’evento), rappresenta un esempio di organizzazione contro le norme liberticide che hanno come unico scopo l’eliminazione del dissenso e quindi del conflitto sociale. In tempi di chiusura degli spazi di agibilità attraverso regolamenti anti-degrado, Decreti Sicurezza e norme per la legittima sicurezza, le campagne pubbliche che rivendicano la legittimità delle lotte per tutti sono il primo degli anticorpi che dobbiamo mettere in campo.