dies irae
La “narrazione” dominante su quanto sta avvenendo in Grecia poggia essenzialmente su due luoghi comuni: il primo è quello secondo cui i greci per molti anni avrebbero vissuto al di sopra delle loro possibilità, il secondo, che ne discende, è che così facendo hanno finito per accumulare un debito ingente nei confronti dei risparmiatori che hanno acquistato i loro titoli pubblici. Un debito, dunque, che va onorato anche a costo di enormi sacrifici. In parole povere: ci dispiace per loro, ma se la sono cercata. Siamo certi, però, che le cose stiano esattamente così? Alcuni dati ci raccontano una realtà ben diversa che però fatica ad imporsi perchè, com’è noto, la verità è sempre l’effetto di un rapporto di forza e di potere. Quest’anno, nonostante l’austerity, Atene destinerà alle spese militari il 3% del PIL, in proporzione quasi quanto gli USA. E a spingere in tal senso sono proprio le pressioni della Merkel e di Sarkozy che ormai da mesi subordinano l’erogazione degli aiuti alle commesse a favore delle proprie industrie belliche. Oggi il Corsera riportava come nel 2008 la Grecia fosse salita al quinto posto nella classifica mondiale delle nazioni importatrici di strumenti bellici. Nel 2009 il governo di Karamanlis è arrivato a spendere ben 1,7 miliardi di euro per l’acquisto di 170 panzer leopard e 223 cannoni dismessi dall’esercito tedesco. La scorsa primavera, mentre il governo di Papandreou calava la scure della Troika sulle condizioni di vita di milioni di lavoratori, Atene è stata costretta ad acquistare dalla Germania 2 sottomarini (1,3 miliardi di euro) e più di 200 carri armati (403 milioni di euro) mentre la Francia imponeva la fornitura di 6 fregate e 15 elicotteri per una spesa complessiva di 4 miliardi di euro. Risultato: nel 2012 la Grecia prevede una spesa militare di 7 miliardi di euro, il 18,2% in più rispetto al 2011. E visto che i pagamenti sono diluiti negli anni è evidente che, al di la delle schermaglie, sia per Berlino che per Parigi i greci non possono permettersi di fallire. Almeno non ufficialmente. E qui veniamo al secondo luogo comune. Come abbiamo scritto più volte non è affato vero che i titoli del debito pubblico greco sono in mano ai risparmiatori, e che dunque sarebbero loro i primi a rimetterci in caso di insolvenza. Dei 276 miliardi a cui questo ammonta 200 sono in mano ad investitori istituzionali, 60 a banche e BCE e solo 16 al “piccolo” risparmio. Quindi a ben vedere i sacrifici contro cui ieri quasi un milione di persone (in un paese di 11 milioni di abitanti) è sceso in piazza serviranno solo a ripagare un debito odioso ed illegittimo, sempre che, come aspichiamo, non accada finalmente qualcosa… del resto la Grecia è o non è l’anello debole della catena?
di seguito riproponiamo un interessante commento alla giornata di ieri postato dai compagni di Contropiano.
Altro che ‘black bloc’. Ieri in Grecia sono scese in piazza un milione di persone. Una vera e propria giornata della rabbia. L’assedio e l’assalto al Parlamento sono diventati una guerriglia generalizzata in vari quartieri della capitale e in tutto il paese. Ma il Parlamento ha capitolato. E adesso?
Per molti giornali e tv italiane la notizia è che il parlamento greco ha approvato il salvataggio del paese mentre un manipolo di ‘black bloc’ – i ‘soliti noti’, come li chiamano in Grecia – metteva la Capitale a ferro e fuoco. Ma basta dare uno sguardo alle cronache più attente di quanto è accaduto ieri pomeriggio e ieri notte in tutta la Grecia per capire che in campo è scesa una massa impressionante di persone, lavoratori e giovani ma non solo, in una vera e propria giornata della rabbia.
Secondo le autorità della capitale sarebbero almeno 45 gli edifici, le istituzioni politiche e i negozi che sono stati saccheggiati o dati alle fiamme durante la giornata di ieri. Mentre scontri e barricate si estendevano in quartieri sempre più lontani dall’epicentro di Exarchia, in strada c’erano 500 mila persone. Quello che era iniziato come un assedio di massa al Parlamento dove era in votazione il massacro sociale ‘reloaded’ si è trasformato man mano in una battaglia con i circa 6000 poliziotti in divisa e chi sa quanti in borghese schierati a difesa della rituale cerimonia. Ma a fare le spese della rabbia popolare non sono stati solo gli agenti – molti dei quali hanno riportati ferite gravi – ma anche alcuni rappresentanti politici: municipi, prefetture e consigli regionali sono stati occupati e dati alle fiamme in tutte il paese; ad Atene i dimostranti hanno tentato di attaccare la residenza dell’ex premier Costas Simitis, mentre a Corfù sono stati distrutti gli uffici di due ex parlamentari del Pasok, di cui uno ex ministro. Come era successo nelle giornate di guerriglia del 28 e 29 giugno, non c’è stata nessuna spaccatura tra folla e gruppi di incappucciati. La parola d’ordine era rimanere in strada, esprimere la propria protesta a qualsiasi costo, e non sono mancati gli applausi e le urla di incitamento nei confronti di chi lanciava molotov o pietre mentre più passava il tempo più centinaia, migliaia di manifestanti si univano agli scontri. La versione dei ‘quattro black bloc’ che rovinano una manifestazione – tanto cara al mondo editoriale vicino a Repubblica.it – questa volta proprio non regge. Milioni di cittadini europei sono rimasti incollati per ore alle tv e alle cronache su internet per seguire quanto accadeva, generando un’empatia e una partecipazione senza precedenti.
Dopo i roghi, le pietre e le barricate adesso il problema diventa capire se dalla rabbia pura e diretta di ieri sorgerà una capacità razionale, orientata e progettuale. Le diverse forze della sinistra greca sono assai più radicate nei settori popolari e tra i lavoratori che quelle del resto del continente. Ma sono litigiose e divise, alcune hanno un tasso di settarismo incomprensibile, altre uniscono radicalità e internità ai movimenti con un’altrettanto incomprensibile sentimento filo Unione Europea. Secondo i calcoli di alcuni media greci, ieri in piazza in tutto il paese c’erano almeno un milione di persone. Se anche fossero stati soltanto la metà si tratterebbe, in un paese di soli 11 milioni di abitanti, di una massa sociale enorme a disposizione di una ipotesi di cambiamento sociale che oggi sembra poter avere le carte in tavola per entrare davvero in campo e passare dalla rabbia alla costruzione di una alternativa organizzata che sia politica, sociale, sindacale e culturale.
Per ora si contano i danni, i feriti e gli arrestati. Il bilancio più aggiornato parla di almeno 65 arrestati durante gli scontri del pomeriggio e della notte solo ad Atene, altre 75 persone sarebbero state fermate e 68 i feriti che hanno fatto ricorso agli ospedali. Anche tra i parlamentari si contano le ‘vittime’: i 22 dissidenti socialisti e i 21 del centrodestra di Nuova Democrazia sono stati immediatamente espulsi dai loro partiti dopo aver votato no. Stessa sorte per l’ex ministro dei Trasporti, Makis Voridis, e il vice ministro della Marina mercantile, Adonis Georgiadis, membri del partito di estrema destra che avendo votato a favore si sono differenziati dall’indicazione del loro partito fino a tre giorni fa sostenitore di Papademos e oggi all’opposizione.
Intanto questa mattina la Borsa di Atene è euforica: la seduta ha aperto questa mattina con un più 6%. Il capitalismo e il mercato sono incompatibili con la democrazia. E anche con la vita stessa.