Elezioni della decadenza
Marine Le Pen ritrova il ballottaggio da solita candidata perdente, sebbene incrementi il proprio risultato rispetto alle precedenti elezioni. Il Partito socialista scompare (definitivamente?) dalla scena politica francese, relegato ad un misero 6,3% e surclassato a sinistra persino da quel Jean-Luc Mélenchon scherzato per tutta la campagna elettorale dalla stampa mainstream. Ma questi dati rimangono sullo sfondo rispetto al senso di questa tornata elettorale transalpina, dove la continuità si conferma a scapito dei diversi “populismi”. Prevale su tutti un candidato “di sistema” come Macron, ma se al suo 23% sommiamo il quasi 20% di Fillon, nonché il 6,3% di Hamon, ci ritroviamo un 50% di voti a salvaguardia del potere istituzionale francese. Niente sembra descrivere meglio la situazione francese della frase di Lenin: «La forza dell’abitudine di milioni e decine di milioni di uomini è la più terribile delle forze». In Francia, tutto sommato, il sistema tiene, come terrà saldamente in Germania, perché l’abitudine non è stata ancora intaccata dal peso della crisi. Nonostante la decadenza relativa, nessuna vera crisi sociale è presente nell’Europa che conta. E in assenza di tale crisi, nessun fenomeno elettorale intaccherà veramente il potere politico nei luoghi centrali della costruzione europeista. Lo Tsipras francese Mélenchon raggiunge il solito onorevole risultato nel turno inutile dove a prevalere è il voto “ideologico”. Fossero state vere elezioni, la forza elettorale concreta della sinistra avrebbe avuto uno spessore più ridotto. Fuori dal circo elettorale, nei paesi del centro europeista non rimane che la messa in scena radicale che non intacca di una virgola lo stato di cose presenti. Non è in Francia, come non sarà in Germania, che si farà la storia delle classi subalterne. Sono paesi politicamente persi perché socialmente troppo stabili. Il discorso ovviamente non può fermarsi alla fotografia elettorale, ma questa ne svela comunque un sintomo: il sistema, nell’Europa che conta, regge. La Vandea elettorale lepenista, in questo senso, è doppiamente funzionale. Da una parte cementifica il consenso attorno alle opzioni “di sistema”, presentate come uniche “razionali”; dall’altra serve come valvola di sfogo frustrata per vasti settori proletari disincantati dalla “politica ufficiale” e piegati alle ragioni di una rabbia xenofoba che non trova voce se non nella lotta contro il povero. La sinistra scompare del tutto. Questo il quadro politico nel centro capitalista: un sistema politico che tiene, nonostante tutto; un’opposizione reazionaria che acquisisce “importanza non determinante”; una sinistra di classe che non conta più nulla. Questi tre caratteri vengono fotografati nelle urne, ma rispecchiano i rapporti di forza presenti anche fuori. Fuori dalla fiction elettorale infatti sembra arduo scovare qualcosa di qualitativamente diverso dal risultato di ieri. Ovviamente questo discorso vale per quei paesi dove, tutto sommato, il modo di vita occidentale regge alla crisi. E’ per tale motivo che difficilmente possono servire a prevedere risultati in Italia, contesto molto più intaccato dall’impoverimento generalizzato e quindi molto più disponibile all’avventura politica, se così può definirsi la scelta populista (grillina o leghista poco importa in questo caso). Neanche il tempo di terminare la conta dei voti, e tutto il blocco politico del paese, da destra a sinistra, dichiarava il proprio appoggio a Macron. E’ il sistema che serra le fila e si stringe attorno al proprio momentaneo salvatore. Fuori dall’union sacrée neoliberale, c’è la reazione nazionalista. Questa la realtà dalla quale provare ad uscire. Non sarà facile.