Esiste ancora un movimento no-global? parte 2

Esiste ancora un movimento no-global? parte 2

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Dunque, la crisi è evidente, i colpevoli cerchiamoli al nostro interno nel nostro fare politica, nella nostra teoria e nella nostra prassi si sarebbe detto, senza accusare nemici veri o presunti all’infuori di noi.

Passiamo allora alle proposte, o almeno all’inizio di un dibattito su cosa dovrebbe diventare un futuro movimento. E qui le idee sembrano abbastanza chiare a Musella: fallito ogni tentativo di sintesi nazionale, fallito addirittura ogni forma di coordinamento fra più lotte a fra più territori da parte dei vari soggetti politici, non rimane che organizzare le lotte territoriali, impegnarsi fino in fondo nelle contraddizioni territoriali tralasciando i vecchi modi di fare politica e di leggere la società. Lotta interclassiste, che nascono spontanee dal basso per rivendicare diritti civili che si vedono negati.

Siamo sicuramente d’accordo su un punto: al giorno d’oggi, o ripartiamo dal basso, dai territori e dai luoghi di lavoro, o non si ripartirà mai più. Insomma, riavviare un percorso politico significa andare a sporcarsi le mani là dove le contraddizioni sono più evidenti e disarticolate e magari anche eterogenee. Però il presupposto da cui si deve partire necessariamente è che il lavoro dal basso, a livello territoriale, o porta in direzione di una politicizzazione di queste vertenze, molte della quali pre-politiche, o non serve a nulla. Ci spieghiamo, trovando anche degli esempi. Negli ultimi anni sono sorte molte vertenze territoriali-ambientali. Cittadini che si vedevano deturpare il territorio, vuoi un inceneritore, vuoi una discarica, vuoi qualche centrale elettrica o qualche altra grande opera quale la TAV, hanno reagito e si sono organizzati. Molte di queste vertenze riguardavano l’ambiente. Raggruppavano tutto, a livello politico da Rifondazione alle Lega, a livello sociale ogni forma di strato o ceto (o classe…oddio!). Giusto inserirsi in queste vertenze, in queste lotte, ma il nostro obiettivo deve essere ben chiaro: o ci inseriamo cercando di avviare un percorso di coscienza e anche di formazione e auto-formazione di questa variegata umanità che protesta per i motivi più disparati, o non ne vediamo il senso. Anche perché, come quasi la totalità di queste lotte ha dimostrato, non solo ha assoluta difficoltà di riuscita, di raggiungimento dell’obiettivo (del tipo, si protestate pure tanto io la TAV o il DAL MOLIN lo faccio lo stesso), dunque non riescono quasi mai ad essere vittoriose, ma soprattutto sono di una estrema vertenzialità, cioè non escono dal loro ambito. Lo stesso cittadino che protesta contro il DAL MOLIN magari poi politicamente vota LEGA NORD, ha in tasca la tessera della FIOM, è vagamente razzista; o è un sincero democratico del PD. Insomma, il suo livello di coscienza politica e sociale rimane relegato a queste lotte particolari, mentre a livello generale nel migliore dei casi è assolutamente sperduto.

Dunque, il livello di sintesi nazionale è stato abbandonato, e questo possiamo anche capirlo, essendoci quella crisi politica prima accennata. Non rimane che il livello territoriale, tralaltro atomizzato e difficilmente comunicante fra varie vertenze territoriali. Questo è evidente, perché al di la dei portavoce delle varie lotte territoriali, è difficile vedere una coscienza critica “di massa” da parte dei cittadini partecipanti alle varie lotte. Dunque, se abbiamo intenzione di ripartire dalle lotte territoriali, bisogna avere ben chiaro quello che andiamo a fare, quale è il nostro compito, cosa deve fare il movimento, o forse è meglio parlare di movimenti, all’interno di quelle lotte.

E il nostro pensiero è che deve organizzarle e politicizzarle, che non vuol dire, questo sia chiaro onde evitare fraintendimenti, andare a citare il Capitale di Marx o sventolare la bandiera di Che Guevara in faccia ai cittadini incazzati per la rovina del proprio territorio, ma cercare, nel processo di partecipazione della cittadinanza, di immettere sempre nuovi e più estesi significati alle varie lotte. La protesta territoriale dev’essere uno spunto, un punto di partenza, per entrare in contatto con la gente e iniziare un percorso che arrivi a formare in quella stessa gente una coscienza politica critica, non calata dall’alto, ma indirizzando politicamente.

Anche perché, o si fa così o si muore. Abbiamo appena avuto, in contrasto con le giornate del G8, la manifestazione di Vicenza. Ebbene, seppure molto significativa, se non altro come immaginario di pratiche politiche conflittuali anche condivise e riproducibili, non possiamo non notare che non solo la base del DAL MOLIN verrà costruita, ma nel 2007 si era 100.000 in quella grandiosa manifestazione, nel 2008 in 20.000 e nel 2009 in 10.000. Non si è raggiunto l’obiettivo e si è perso per strada un patrimonio umano non indifferente. E in più, non ci si è schiodati dall’estrema vertenzialità di quella lotta, giusta ma troppo particolare per essere riproducibile.

Come fare per evitare tutto ciò? Il dibattito è aperto, anche da diverso tempo. Speriamo che presto o tardi si arrivi ad una benedetto punto fermo dal quale ripartire, ricercando l’unità e il collegamento e non considerando l’atomizzazione odierna come un valore. Noi lo riteniamo una debolezza, una situazione che fotografa al meglio l’impossibilità di uscire fuori da dinamiche troppo particolaristiche per essere riproducibili in altri contesti.

Ai posteri l’ardua sentenza…

p.s. Sull’interclassismo…bè, se c’è una caratteristica dei movimenti della nuova sinistra, almeno dalla Pantera, e cioè dal 1990 in avanti, è proprio l’interclassismo. Ci sembra una caratteristica che non viene a galla oggi, nel 2009, ma è almeno vent’anni che le proteste più disparate vedono protagonisti una vasta ed eterogenea umanità non legata ad una classe particolare. Ci sembra anche che il movimento abbia assunto questo dato già da molto tempo; insomma, se c’è un punto fermo da molti anni è proprio questa sorta di interclassismo. La novità, semmai, è che rispetto alle varie teorie della scomparsa della classi sociali, rivendicare l’interclassismo sembra una presa d’atto che le classi esistano ancora, e tutt’al più sono politicamente disarticolate ma socialmente ben presenti nella società. Ci sembra un passo avanti insomma…