Giorno del ricordo – VII Edizione
E anche quest’anno il 10 febbraio è passato. Dobbiamo ammetterlo, quest’anno la pantomima è passata piuttosto in sordina, almeno a livello istituzionale e mediatico. Sarà che i politici italiani sono tutti troppo presi a parlare delle avventure sessuali di Berlusconi. O molto più probabilmente sarà che, come abbiamo sempre sostenuto, si tratta di una ricorrenza sentita da nessuno, una strumentalizzazione che ha il chiaro intento politico di rivalutare il fascismo e gettare discredito sulla Resistenza comunista e sugli jugoslavi. Oggi che le forze dell’opposizione non sono neanche più lontanamente riconducibili a quel glorioso passato, all’interno della destra istituzionale si chiederanno forse che senso abbia mantenere in vita una ricorrenza di cui non frega niente a nessuno, che non coinvolge la gente comune: qualcuno organizza tristi cortei in 10, altri celebrazioni a porte chiuse, ma niente di eclatante, niente di visibile. Tanto più in un momento in cui gli “ex”(?)-fascisti che l’avevano proposta sono divisi tra la schiera dei lacchè di Berlusconi e quella dei fedelissimi del “compagno Fini” (…). Si trattava chiaramente di una strumentalizzazione e uno strumento senza scopo si fa ormai inutile, liturgia fine a se stessa.
Unici a celebrarla – quasi fosse il loro Natale – sono i fascisti, quelli che rivendicano di esserlo. Anche qui viene dimostrato ciò che sosteniamo da anni: altro che memoria condivisa, altro che pacificazione, il Giorno del Ricordo non è altro che il giorno del revanchismo fascista, dell’assoluzione dei crimini fascisti in Jugoslavia. E da questo nascono la falsificazione degli episodi storici, le menzogne, le cifre gonfiate, la cancellazione degli avvenimenti del confine orientale precedenti al 1° maggio 1945, della feroce occupazione italiana di quelle zone, dell’italianizzazione forzata, dei campi di concentramenti per gli slavi.
Non è un caso che siano i fascisti di casapound ad aver organizzato, per sabato prossimo, una fiaccolata per i “martiri” delle foibe, a Ostia. Invitiamo, a questo proposito, tutti i compagni e tutte le compagne a partecipare al presidio contro questo appuntamento fascista che si terrà davanti alla sede Anpi di via della Stazione vecchia (Ostia), alle ore 16 di sabato 12.
In un contesto come questo, non possiamo, inoltre, che esprimere tutta la nostra complicità ai compagni che questa notte si sono opposti al revisionismo asportando la targa di un monumento ai “martiri” delle foibe a Marghera (leggi), come anche a tutti quelli che – in diverse zone di Italia, da Napoli a all’università Tor Vergata – si sono opposti a presidi e volantinaggi revisionisti e fascisti.
Proponiamo, infine, un recente intervento di Claudia Cernigoi, che da anni fa seria ricerca storica sulle foibe.
GIORNO DEL RICORDO 2011: A PROPOSITO DI “MARTIRI DELLE FOIBE”
Dopo tanti anni da quando ho iniziato a fare ricerca storica sulle foibe (cioè dal 1995), dopo tutta la documentazione che ho analizzato e tutte le cose che ho pubblicato (e che nessuno storico serio, finora, ha smentito), quando sento ancora parlare di diecimila “infoibati”, di migliaia di “martiri delle foibe”, non so se mi sento più arrabbiata o più demoralizzata. Perché, mi domando, una ricerca storica seria deve venire snobbata, ignorata, vilipesa, mentre si prosegue a parlare a sproposito di certi argomenti, solo per mantenere viva la propaganda anticomunista ed antijugoslava, sostanzialmente per rivalutare il fascismo?
Un esempio per stigmatizzare la situazione di disinformazione storica nella quale ci troviamo. A novembre, su segnalazione del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, che ha elevato una protesta riguardo all’intitolazione in quella città di una via ai cosiddetti “martiri delle foibe” (termine che per la sua genericità e vaghezza di definizione necessiterebbe di un’analisi di svariate pagine, ma su cui tornerò più avanti), sono andata a vedere il forum di Alicenonlosa (http://www.alicenonlosa.it/aliceforum/) e di fronte a tanta (peraltro spocchiosa e saccente) ignoranza relativamente ai fatti storici di cui si pretende di parlare, mi sono davvero cadute le braccia.
Leggere di “almeno diecimila” infoibati, di “compagni del CLN” gettati nelle foibe, di paragoni tra Tito e Pol Pot, così come insulti al presidente Pertini, e citazioni fuori tema su Goli Otok (che fu campo di prigionia, orribile fin che si vuole, ma destinato ad oppositori interni e non c’entra per niente con le “foibe”), il tutto per rispondere all’equilibrata e documentata presa di posizione del Comitato antifascista e per la memoria storica mi ha fatto riflettere sul senso che ha cercare di fare ricerca storica circostanziata se poi quello che continua ad essere diffuso sono stereotipi di falsità e propaganda.
Uno dei vari anonimi polemisti, quello che cita i “compagni del CLN” infoibati, dopo avere parlato di “diecimila” vittime, fa i seguenti nomi: Norma Cossetto, i sacerdoti don Bonifacio e don Tarticchio, le tre sorelle Radecchi, i tre componenti della famiglia Adam. Nove persone. Punto. Dove don Tarticchio, Norma Cossetto e le tre sorelle Radecchi furono uccisi nel settembre 1943 in tre distinte località dell’Istria nel corso del conflitto; don Bonifacio scomparve nel 1946 e non si sa che fine abbia fatto, ma visto che è scomparso nel nulla, dice la propaganda, ovviamente è stato “infoibato”; la famiglia Adam, di Fiume, che faceva parte del CLN filo italiano che nell’estate del 1945, quando Fiume era passata sotto sovranità jugoslava operava per riannettere la città all’Italia, in barba a tutti gli accordi tra Alleati, fu arrestata appunto per questa attività eversiva, e non vi è prova che qualcuno dei tre sia stato “infoibato”.
Ed i “compagni” del CLN di cui parla l’Anonimo (diamogli una dignità di nome proprio con un’iniziale maiuscola) chi sarebbero? Non certo coloro (una ventina) che furono arrestati durante l’amministrazione jugoslava di Trieste perché organizzavano attentati dinamitardi contro l’autorità esistente, che amministrava Trieste in quanto potenza alleata; né i tre membri del CLN arrestati per essersi appropriati dei fondi della Marina militare della RSI pur di non lasciarli in mano agli jugoslavi, due dei quali furono rilasciati un paio di anni dopo, mentre il terzo, già malato al momento dell’arresto, morì in prigionia un anno dopo.
Si possono poi considerare “martiri” i membri dell’Ispettorato Speciale di PS che furono arrestati e condannati a morte dal tribunale di Lubiana, perché colpevoli di essersi macchiati di azioni criminali, come Alessio Mignacca, che picchiò una donna arrestata fino a farla abortire, ed uccise almeno tre persone che cercavano di sfuggire all’arresto, sparando contro di loro?
Si potrebbe continuare a lungo con questi esempi, ma il discorso da fare è, a mio parere, un altro, e ritorno sulla questione della definizione “martiri delle foibe”. Innanzitutto la maggior parte di coloro che vengono così indicati non furono veramente uccisi e poi gettati in una foiba: in parte si tratta di prigionieri di guerra morti durante la detenzione (così come accadde in altri campi di detenzione gestiti dagli Alleati, ad esempio in Africa), in parte di arrestati perché accusati di crimini di guerra o di violenze contro i prigionieri (vedi il caso di Mignacca sopra citato, ma anche quello di Vincenzo Serrentino, giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, che mandò a morte moltissimi innocenti) e condannati a morte dopo un processo. Coloro che finirono nelle foibe furono per lo più vittime di regolamenti di conti o di vendette personali, così come Norma Cossetto, così come don Tarticchio, sul quale gravava il sospetto che fosse un informatore dell’Ovra.
Intitolare strade a generici “martiri delle foibe” significa non rendere giustizia a nessuno, tantomeno alle vittime innocenti, serve solo ad eternare la polemica sulla “ferocia slava” che voleva operare una pulizia etnica contro gli italiani nella Venezia Giulia (teoria nazionalfascista che nessuno storico degno di questo nome ha mai avallato).
L’analisi di cui sopra è stata inviata, sempre a novembre 2010, al Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, quale contributo di solidarietà al loro lavoro di informazione per la conoscenza della storia. Non so se l’intervento è stato pubblicato da qualche testata parmense, ma ritengo ora, a ridosso del Giorno del ricordo del 10 febbraio, di diffonderlo più ampiamente, in vista di quanto verrà detto e scritto sull’argomento.
Claudia Cernigoi
gennaio 2011