giustizia italiana: due pesi e due misure

la legge è uguale per tutti

L’altro ieri, come ormai tutti sapranno, il tribunale di Arezzo ha inflitto al’agente scelto di PS, Luigi Spaccarotella, una pena che definire mite è un eufemismo. Solo sei anni per aver ucciso Gabriele Sandri sparando ad alzo zero e da 70 metri di distanza contro l’auto su cui viaggiava. L’escamotage che ha permesso di comminare una pena così lieve è stato il derubricamento dell’omicidio da volontario a colposo, come a dire: è stata per pura sfortuna se Spacarotella ha estratto la pistola, è stata per pura sfortuna se Spaccarotella ha allargato le gambe a compasso e preso la mira, ed è sempre stata per pura sfortuna che Spaccarotella abbia deciso di sparare impugnando la pistola con entrambe le mani. E questo nonostante cinque (5!!!) testimoni oculari abbiano raccontato in aula come di casuale quel giorno non ci sia stato assolutamente nulla. Non entriamo ulteriormente nel merito perchè su questo molto è già stato detto e scritto, ci premeva però evidenziare alcune cose. Ci è capitato di ascoltare e leggere in questi giorni i commenti increduli di molti giornalisti ed opinionisti che riportando con scandalizzato stupore la notizia invitavano comunque a non fare “di tutta l’erba un fascio” perchè, è cosa nota, “le mele marce stanno dappertutto, anche nelle forze dell’ordine”. Ebbene noi non condividiamo nè lo stupore nè, tantomeno, la teoria della “mela marcia”. La sentenza di Arezzo arriva solo poche ore dopo quella relativa all’omicidio di Federico Aldrovandi, ucciso a manganellate da quattro agenti di PS condannati poi a soli 3 anni e 4 mesi, ed a pochi giorni dalle richieste di condanna (anche queste ridicole) a carico dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, e all’ex capo della Digos di Genova,  Spartaco Mortola, a seguito della mattanza della Diaz. Si tratta solo degli esempi più recenti della quasi totale impunità di cui godono i custodi dell’ordine costituito in questo Stato “democratico”. Senza tornare alle stragi di contadini e lavoratori che hanno insanguinato le piazze e le strade fin dal primo dopoguerra, basterebbe scorrere l’elenco delle vittime della famigerata Legge Reale (leggi) per rendersi conto che ad essere marcio è tutto il cesto di mele. Così come basterebbe rileggersi alcune sentenze, anche recenti, per abbandonare quelle speranze che pure certa sinistra aveva riposto nella cosiddetta magistratura democratica. Questo è il paese in cui Gerardo D’Ambrosio, futuro esponente di mani pulite e senatore del PD, si inventò la teoria del malore attivo pur di coprire l’omicidio di Pino Pinelli. E’ il paese in cui si è arrivati a sostenere, senza che nessuno scoppiasse a ridere in aula, che il proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani sarebbe stato deviato in volo da un sasso lanciato da un manifestante. E’ il paese in cui un pensionato di 74 anni scoperto a rubare del prosciutto si è beccato 2 anni e 4 mesi. Ed è anche il paese in cui, poche settimane fa, sono state comminate a carico di compagni e compagne pene pesantissime (fino a 15 anni di carcere) per reati “ideologici” e “associativi” seguendo un’assurda ed anacronistica logica emergenziale (leggi). Ci chiediamo come sia possibile che chi non ha ucciso o torto un capello a nessuno si faccia due anni di custodia cautelare (per poi magari essere pure assolti) mentre chi ha deliberatamente assassinato una persona non abbia fatto nemmeno un ora di galera.

PS

La domanda, ovviamente, è retorica.

PPs

Così come per gli arresti di Torino, voluti dal piddino Caselli, anche nel caso della sentenza di Milano il ruolo di inquisitore è spettato ad una cosiddetta “toga rossa”, Ilda Boccassini. Verrbbe da dire, parafrasando un vecchi detto popolare:

dalle toghe rosse mi guardi iddio, che da quelle nere mi guardo io…