GOVERNO BERLUSCONI, GOVERNO RAZZISTA!
A dire il vero si sarebbe potuto dare sfogo alla nostra rabbia già da venerdì, scrivendo quanto ci abbia schifato il modo in cui si è parlato dell’ennesima strage di migranti avvenuta nelle nostre acque. Ci saremmo tolti molti sassolini dalle scarpe se avessimo potuto rispondere alle dichiarazioni del ministro Maroni, quantomeno per fare presente come fosse mal recitato il suo finto interesse per una strage umanitaria di portata abnorme, cui ha fatto seguito l’insensata pretesa di mettere in dubbio la ricostruzione offerta dai cinque rifugiati sopravvissuti. Una ricostruzione che evidentemente avrebbe spiazzato non solo Maroni, ma l’intero governo italiano. Perché riflettendo, ascoltando e leggendo, alcuni elementi – nonostante siano passati quattro giorni – cominciano a destare fastidio e a gettare non poche ombre su quanto sia accaduto, su quanto (non) sia stato fatto, su come se ne sia parlato e – più in generale – sulla politica governativa in tema d’immigrazione. Prima di tutto ci sembra surreale e inopportuno dare voce al valzer dell’ipocrisia che il governo italiano e quello maltese stanno abilmente conducendo, rimbalzandosi le responsabilità come si è soliti fare nel gioco dello scaricabarile. Non solo s’ignora il dato reale dell’accaduto – ovvero che sono morte 73 persone per volontaria omissione di soccorso, pena l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – ma ci si permette di infangare una verità scomoda che rischiava di trapelare dalle stanze del primo soccorso dove sono stati accolti i superstiti; non contento, il governo italiano gonfia il petto, si dimostra coriaceo, tutto d’un pezzo, come fa chi viene sbattuto all’angolo sotto una valanga di colpi. Nessun segno di rammarico, nessuna parola spesa per una strage annunciata, anzi: si difende l’operato dei guardacoste, si zittiscono l’arcivescovo Sepe, Avvenire e L’Osservatore Romano (che avevano rispettivamente denunciato: “disumano negare l’accoglienza” e “l’indifferenza fa chiudere gli occhi di fronte al barcone degli eritrei”), Frattini cerca di distribuirsi le colpe anche con l’UE e – come se non bastasse – su Facebook prende parola anche il figlio di Bossi, il “pluririmandato” agli esami di maturità: sua l’indegna trovata del gioco Rimbalza il clandestino – ripresa anche sulla pagina ufficiale della Lega Nord nel social network – che prevede una mappa dell’Italia circondata da gommoni di naufraghi che devono essere prontamente respinti dai giocatori prima che riescano a sbarcare sulle nostre coste. Insomma, quella che dovrebbe essere un’attenta riflessione sugli esiti della politica governativa sull’immigrazione diventa la sponda ideale per i soliti campioni di camouflage e per l’idiota razzista di turno. La stretta sull’immigrazione di cui si è reso protagonista il governo – dopo le forti pressioni esercitate dalla Lega, le cui pretese dopo le europee equivalgono a dei diktat senza appello – stenta ad essere inquadrata per ciò che è realmente: un fallimento. Il collasso di un sistema lacunoso, senza prospettive e retto da una continua fobia del diverso – insomma, il volto di un flop cominciato con le piccole frecciatine del Senatur e finito con l’accordo bilaterale Italia-Libia. Un menu di belle parole dato in pasto all’opinione pubblica, poi derubricato banalmente a visita del Capo di Stato in tenda e con la foto sul petto; non una parola sul dato politico dell’operazione, ovvero un semplice rafforzamento della marina libica (che certo non serve a fermare la corsa di chi fugge dall’inferno subsahariano) e tanti appuntamenti segnati sulle agende della nostra migliore branca imprenditoriale. Una ricetta che offre poche soluzioni se pensiamo anche ai continui tagli a danno della cooperazione per ragioni di Finanziarie.
Il quadro è più chiaro se lo guardiamo da punti di vista differenti: da un lato il nostro Paese pecca di un’inefficiente politica d’accoglienza, la quale dovrebbe essere scevra da pregiudizi razziali (di cui il governo è infettato) e modellata sul diritto umanitario internazionale. Un disordine tale da rendere necessario il rifiuto di ogni accoglienza di clandestini per accontentare senza mezze misure l’ala più xenofoba della squadra del Cavaliere, anche se la recente sanatoria di colf e badanti pone al centro della discussione la continua presenza di un’eccezione alla regola per quegli impieghi ormai rifiutati dai lavoratori italiani – problema che a breve si ripresenterà per regolarizzare gli immigrati sfruttati nei lavori estivi vista la carenza di manodopera nostrana. L’altra faccia della medaglia ci parla, invece, di un paese in balia di una preoccupante deriva razzista. A parte le bassezze di cui la Lega e i suoi epigoni si rendono protagonisti (treni disinfettati perché ospitano anche migranti, classi a parte per i figli di stranieri, prova di dialetto per i professori che insegneranno dal Nord, posti sui mezzi pubblici solo per i residenti italiani e via discorrendo), crediamo che il discorso – più volte ripetuto – per cui quella al razzismo è una guerra che va combattuta in primis sotto un profilo culturale sia ancora oggi la carta vincente da giocare; in un momento storico in cui le lancette dell’orologio invertono prepotentemente il loro senso di marcia e ci riportano verso nemici di popolo immaginari, verso capri espiatori a portata di mano, verso – elemento più grave – una cultura dell’indifferenza foraggiata (e qui ci duole ammetterlo) da un’informazione asservita ad una logica qualunquista che dilaga spaventosamente nel nostro paese – il celebre Belpaese, oggi dilaniato dal cancro populista che preme forte sull’acceleratore del razzismo. A tal proposito ricordiamo (e rimandiamo) con piacere alle righe di Stefania Giannini (Rettore dell’Università per Stranieri di Perugia) sul Corsera del 20 agosto: una lettera aperta, dopo le avventate divagazioni sciorinate dai nostri parlamentari sulle difficoltà d’integrazione fra culture profondamente diverse; l’ammissione di un grave ritardo rispetto agli standard europei in materia di conoscenze delle diversità culturali, il che si ripercuote poi su una fragile conoscenza dell’impianto teorico-culturale del nostro paese (ecco spiegata la sterile disputa sul 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia) paradossalmente difeso con morbosa gelosia da qualunque “contaminazione”. Un intervento conciso e ben strutturato, sintetizzato in alcune pillole che riportiamo a sintesi di quanto detto: “i programmi e i metodi di insegnamento della scuola devono rispondere agli obiettivi educativi condivisi ed essere commisurati alle risorse disponibili. Della scarsità delle risorse ben sappiamo…” e ancora “le politiche linguistiche di un paese devono essere di lungo respiro e in sintonia con il disegno politico generale…due priorità in agenda: internazionalizzare e integrare, cioè aprirsi al resto del mondo e creare condizioni concrete di coesione e solidarietà sociale fra italiani e stranieri immigrati.”