I fantasmi “arancioni” del passato
Credevamo che il golpe suave montiano avesse mandato in soffitta la dialettica ventennale fra berlusconismo illegale e antiberlusconismo giustizialista. Avesse relegato a bizzarria della storia italica la sequela di magistrati scesi in politica per salvarci dal male assoluto. Che, infine, il dibattito interno alla sinistra si fosse liberato dalle maglie dell’opposizione legalitaria a Berlusconi, per ritornare alle radici della sua storia e del suo significato, quello del processo storico per la liberazione sociale del mondo del lavoro. E invece constatiamo dalle cronache dei giornali che siamo di fronte all’ennesima riproposizione di un film già visto, ogni volta riproposto in sedicesimi e con sempre meno speranze di riuscita. Oggi è il movimento arancione, l’estrema propaggine del giustizialismo piddino(picista) che, dalle sue posizioni di riformismo legalitario, si ritrova alla sinistra dello schieramento parlamentare. Miracoli del trasformismo politico.
Oggi è Ingroia il nuovo vate, con le sue propaggini territoriali a tentare di dare un contenuto politico a un contenitore che non ne ha, non ne può avere. Perché, dopo Di Pietro e De Magistris, l’esito è scontato. Il magistrato in politica forma un partito personale, basato sul carisma dell’uomo forte, un carisma fondato non sulle posizioni politiche ma dalle inchieste giudiziarie che abilmente sfrutta giornalisticamente per promuovere la sua immagine e la sua candidatura. Insomma, esattamente l’opposto di ciò che serve oggi alla sinistra italiana per riprendersi da vent’anni di arretramento politico e culturale.
Capiamo l’ennesimo e disperato tentativo delle varie sinistre organizzate di aggregarsi al carrozzone giustizialista, con la flebile speranza di un qualche ritorno elettorale, reintrodursi nelle stanze dei bottoni, ritrovare una presenza sui media. Comprendiamo ma non possiamo accogliere, visto che proprio la storia italiana di questi anni dimostra che quel tentativo è esattamente il male dal quale dobbiamo liberarci. Dobbiamo liberarci dalla mediaticità dell’”uomo nuovo”, in favore di un nuovo lavoro sociale di ricomposizione politica, che non darà i suoi frutti elettorali immediati ma consente una diversa autonomia dal contingente. Dobbiamo smetterla di affidarci a persone che non vengono dalla nostra storia e non hanno alcuna intenzione di riconoscerla, perché quello che produrranno sarà l’ennesimo tentativo “nuovista” che non è altro che subalternità politica al potere dominante. Dobbiamo, infine, liberarci dalla retorica della legalità, che è il campo dove vuole portarci Berlusconi e il montismo. Il problema di Berlusconi e di Monti non è la legalità e la giustizia, e proprio aver ridotto tutto a questo discorso estremamente periferico e superficiale è una delle cause maggiori dello spaesamento del nostro campo, che produce l’assenza di strumenti per controbattere alla retorica egemone del nostro tempo. Non ci servono magistrati “impegnati”, molto meglio dei ladri proletari; non ci serve l’uomo nuovo ma l’assenza di facce carismatiche, soprattutto quando tale carisma non si è formato nelle lotte ma sulle pagine dei giornali e solo grazie al proprio lavoro giudiziario.
Ingroia, intelligentemente, ha fiutato l’aria e ha capito che il tranello poteva ancora funzionare. Si candida Berlusconi, il paese necessita dunque di un integerrimo anti-Berlusconi. Questo il tranello berlusconiano, cioè porre la competizione sul proprio terreno, quello dove è certo di recuperare voti e di sottrarre argomenti al “nemico”. Auguriamo una sonante sconfitta al movimento arancione. E ci dispiace per tutti quei veri compagni che ci stanno cascando anche questa volta. Che cercheranno di supportare con argomenti politici una candidatura e una formazione politica che non ha argomenti politici, se non l’eterno ritorno dell’uomo a difesa delle istituzioni contro l’assalto alla diligenza dello Stato. Con loro ci potrà essere interlocuzione; il magistrato di turno e il suo entourage politico, invece, sono il nemico dal quale liberarci.