I miracoli della svendita del patrimonio pubblico: l’ideologia liberista e la realtà dei fatti
Inutile stare qui a ricordare la retorica dominante che vorrebbe il processo di privatizzazione dell’economia quale principale strumento per la crescita e la modernizzazione del “sistema paese” e il suo sviluppo economico-sociale. Privatizzare tutto ciò che un tempo era di proprietà dello Stato è assunto, da ormai un trentennio abbondante, quale dogma irrinunciabile di qualsiasi ricetta economica. Soprattutto oggi, dove il ruolo economico dello Stato viene identificato come controllo della politica sull’economia, dunque della “casta” sulle imprese, distorcendo le leggi di un mercato altrimenti perfettamente in grado di regolarsi da sé. Producendo, anche a sinistra, il rifiuto della proprietà statale sui mezzi di produzione economici, in luogo di fantasiose “proprietà comuni” che non siano né private né statali. Niente meglio del processo di privatizzazione dell’economia italiana dagli anni novanta ad oggi sintetizza bene il fallimento di questa linea politica. E niente meglio della privatizzazione della rete autostradale riesce a racchiudere una serie di ragionamenti altrimenti astratti o esclusivamente teorici. Come riporta il Corriere della Sera (cioè uno degli organi che più in questi anni ha sponsorizzato la privatizzazione di tutte le risorse economiche del paese), “dal 1999, anno della privatizzazione della società Autostrade, al 2013, i pedaggi sono saliti in media del 65,9% a fronte di un’inflazione del 37,4%. Quasi il doppio. Mandando in orbita i profitti della principale concessionaria”. Fra il 2000 e il 2012 Autostrade spa ha realizzato profitti (sottolineiamo profitti, e non semplici guadagni) per 7 miliardi e 688 milioni di euro.
Dunque, la privatizzazione ha portato ad un incremento irrazionale dell’esborso dei cittadini usufruenti un servizio che in teoria, e secondo Costituzione, avrebbe dovuto essere garantito dallo Stato. Rendendo sempre più impossibile a intere fasce di popolazione il libero spostamento per il territorio. Questo esborso, ripete il mantra neoliberista, sarebbe dovuto all’ammodernamento del prodotto offerto, trasformandolo da servizio scadente a servizio di qualità. Anche qui, però, i fatti s’incaricano di smentire la retorica neoliberista: “nel 1970 l’Italia era in Europa il paese con la maggiore dotazione autostradale, seconda solo alla Germania, e oggi ha una rete pari alla metà di quella spagnola. Questo nonostante 6 mila veicoli per chilometro di autostrada, contro i 2.300 della Spagna e i 3.300 della Francia”. Dunque, alla moltiplicazione geometrica dei profitti privati, a scapito di una serie di assets costruiti dallo Stato ma non ripagati dalle aziende che si sono sostituite ad esso (nei vari casi: autostrade, porti, binari e stazioni ferroviarie, eccetera), ha fatto anche seguito un peggioramento del servizio stesso, sia in termini di accessibilità che di qualità.
Già a suo tempo abbiamo avuto modo di riflettere sulla privatizzazione di tutta una serie di servizi che in teoria dovrebbero essere garantiti, come recita il dettato costituzionale, come diritti inalienabili. Quello più colpito di tutti in questi anni è stato certamente il diritto alla mobilità, la libertà cioè di potersi spostare liberamente lungo tutto il territorio nazionale senza restrizioni. Nello spirito della Carta – tanto citata quando serve a reprimere le malefatte berlusconiane quanto dimenticata nei suoi diritti essenziali, l’assenza di restrizioni riguardava anche – o soprattutto – l’ambito economico. La libertà di viaggiare doveva essere garantita dallo Stato attraverso la possibilità concreta di viaggiare, gestendo un servizio pubblico economico e accessibile a tutte le classi sociali. Come sappiamo, il diritto alla mobilità è stato smantellato, sostituito dalla possibilità di spostarsi per il territorio solamente se ricchi abbastanza da potersi permettere il prezzo dei nuovi mezzi “pubblici” privatizzati. In questo senso, prima le ferrovie, poi le autostrade e i collegamenti marittimi, sono stati trasformati da diritto garantito in privilegio esclusivo.
Quello dei trasporti e della mobilità è solo l’esempio più lampante di come il processo di privatizzazione abbia portato a un restringimento dei diritti dei cittadini e soprattutto delle classi subalterne. La modernizzazione dei servizi ha portato a una loro “esclusività”, rendendoli efficienti per una parte della popolazione, divenuta clientela, ed esclusivi (ovvero escludenti) per tutto il resto della popolazione non pagante. In nessun caso, come la realtà dei fatti ha dimostrato in questi anni, una privatizzazione ha portato ad un abbassamento dei costi per chi usufruisse del servizio. E raramente questo servizio ha inoltre migliorato il suo standard qualitativo, se non per ristrette cerchie sociali già ampiamente capaci di procurarsi da loro quei servizi garantiti dallo Stato. Quale sarebbe dunque la posizione ideologica, la nostra o quella liberista?