I padroni ci riprovano, i sindacati acconsentono..
E così, mentre nel Lazio l’opinione pubblica assisteva al derby tra i fascisti di oggi e quelli di ieri (il ticket Mambro – Fioravanti, impegnati nella campagna elettorale della Bonino), mentre in Lombardia l’opinione pubblica assisteva alla conferma del fatto che, se appartieni a Comunione e Liberazione, puoi fare il cazzo che ti pare, compreso inventare firme inesistenti. Mentre accadeva tutto ciò, con l’ennesimo ridicolo balletto della democrazia liberale (ma non ci dicevano sempre che in democrazia conta solo il rispetto formale delle regole?!?), il Senato approvava il disegno di legge 1167 B che introduce la possibilità di sostituire il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa (in pratica, l’art.18 dello Statuto dei lavoratori) con una semplice ammenda, in seguito alla decisione di un arbitrato. Tale possibilità è contemplata nel momento della stipula del contratto di lavoro, ma può essere imposta anche per i contratti già in essere, mediante i meccanismi della contrattazione collettiva (che adesso torna in auge perché favoriscono il padrone, ovviamente…). Alle brutte può essere addirittura imposto dal ministro tramite decreto.
Insomma, l’art.18 viene completamente depotenziato, senza che sia neanche nominato nel disegno di legge.
Ironia della sorte (o forse giustizia del fato), il festoso annuncio è stato fatto dall’ex craxiano Sacconi al congresso della UIL, tra il placido consenso dei delegati. Pure la CISL e i buffoni dell’UGL sono silenti. Meglio così: anche i più ingenui adesso apriranno gli occhi sui sindacati diventati stampelle di appoggio per il padronato. Piuttosto fastidiosa, invece, la pantomina della CGIL, che riscopre d’incanto gli antichi ardori sindacali. Provoca allergia alla pelle la ritrovata verve di Cofferati (al quale bisognerebbe dire che, rispetto alle battaglie di otto anni fa, i compagni si sono tolti ormai la sveglia al collo e l’anello al naso) e i consigli nientepopodimenoche di Treu, cioè colui che, da ministro del lavoro, incominciò l’infelice stagione della “precarietà di sinistra”.
Per una volta, però, ci piace sottolineare un capolavoro letterario compiuto da Il Giornale: il quotidiano del Grande Infame commentava il disegno di legge 1167 B con un articolo di arte oratoria che dovrebbe essere studiato nelle scuole di giornalismo. Sin dal titolo si specificava che non veniva toccato l’art.18. Ma questo è niente. Nelle prime tre righe dell’articolo, Il Giornale si giocava subito le “parole magiche”: modernizzazione, riformismo, Marco Biagi. Non contento, nel caso ci fosse anche qualche affezionato lettore socialista, citava addirittura Filippo Turati e il suo apprezzamento per lo strumento dell’arbitrato. Si proseguiva, poi, con un’attenta lettura del disegno di legge, funzionale a dimostrare tutti i vantaggi che avrebbe apportato al lavoratore. Veniva più volte ribadito che il ricorso all’arbitrato sarebbe stato inserito volontariamente in sede di definizione contrattuale, come se padrone e lavoratore partissero dalle stesse condizioni di uguaglianza. Si poneva l’accento in maniera ossessiva sul concetto di “equità” usato per definire l’arbitrato, come se le parole corrispondessero inevitabilmente alla realtà. Qualche riga sotto il lettore raggiunge la vetta più alta di commozione, quando trova scritto, testualmente:
“È noto che alcuni magistrati del lavoro sono faziosi. Un lavoratore che opta per la tutela dei suoi diritti da parte di un organo di sua fiducia e non da parte di un giudice fazioso ha, con il datore di lavoro, un rapporto fiduciario che va a vantaggio suo e dell’impresa”
Eh sì, è questa la realtà: l’arbitrato serve al lavoratore contro il padrone e le toghe nere. Nella confusione del momento, l’unica certezza per il proletario e per il precario è rappresentata da Il Giornale. Il Giornale di Feltri e di Berlusconi.
Sono brutti tempi, per fortuna che Ferrero ha iniziato lo sciopero della fame…