I “ragazzi” di Belgrado e le rivolte arabe
Cosa c’entra la ex Jugoslavia con le rivolte arabe che stanno infiammando il medio oriente? Apparentemente nulla. Ma se si indagasse al di là delle facili interpretazioni, forse emergerebbe un quadro insolito rispetto a quello che sta avvenendo nel nord Africa e in particolare in Egitto. Leggiamo oggi sul Corriere della Sera che dietro la “rivoluzione” del Cairo ci sarebbero i ragazzi di Belgrado. Li chiama proprio così il quotidiano, i “ragazzi”. Ora, chiaramente la fonte è quella che è, inattendibile e ovviamente di parte, incapace, come del resto la maggior parte dei quotidiani italiani, di fare inchieste vere e approfondite. Però è anche vero che sono diverse settimane che la notizia circola, confermata tralaltro da alcuni cablogrammi di Wikileaks che ne danno sostanzialmente conferma. Insomma, parte di quel variegato mondo che sta mobilitandosi in Egitto e che ha portato alle dimissioni di Mubarak sarebbe ispirato da Otpor. Non sappiamo quale sia il confine fra una qualche forma di illuminazione ideale e invece una più pragmatica ispirazione finanziaria, ma certo non essendo nati ieri non ci stupirebbe nulla e soprattutto di cose del genere ne è piena la storia.
Però sarebbe utile ricordare cosa hanno rappresentato e cosa sono stati quei “ragazzi” di Otpor per la Serbia di Milosevic, e negli anni successivi per tutta quella serie di tentate rivoluzioni colorate che hanno incendiato l’est Europa e alcuni paesi del Latinoamerica. A partire dalla disgregazione della Jugoslavia, dopo l’indipendenza della Croazia e della Slovenia, l’ultimo paese da domare economicamente e politicamente rimaneva la socialista Serbia, cuore della ex Jugoslavia, di cui ancora portava il nome. Non ci volle molto, fomentando le rivolte etniche e smembrando il resto della regione inventandosi stati inesistenti quali il narco-stato del Kossovo. Ma il terreno, anche rispetto all’invasione militare del 1999 da parte della NATO, venne preparato da una serie di “rivolte” studentesche, culminate con le manifestazioni del 2000, guidate appunto dal gruppo politico-studentesco di Otpor. Gruppo che si dichiarava apolitico, formato dalla società civile, dai lavoratori “stanchi” del regime, e soprattutto dagli studenti, mito intoccabile di ogni democrazia. E infatti proprio le manifestazioni studentesche furono il grimaldello con cui si giustificò la pressione europea e che preparò l’attacco NATO. Messa così, al di la delle differenze politiche evidenti ma che allora evidenti non furono, niente di male. E infatti questi presunti studenti ricevettero la solidarietà di mezzo mondo, soprattutto di quel mezzo mondo di sinistra che appoggiava, allora come oggi, qualsiasi cosa provenga dalla piazza e soprattutto dall’ università. Salvo però che alcuni anni dopo si scoprì come proprio Otpor ricevesse ingenti finanziamenti dalla CIA e dall’Unione Europea; finanziamenti che dovevano essere subordinati a un lavoro politico di attacco alle politiche socialiste di Milosevic, di criminalizzazione dello stato Serbo e di propagazione delle idee delle libertà democratiche occidentali (e, chiaramente, del liberismo economico come unica forma di sviluppo possibile). Finanziamenti per giunta mai smentiti dall’organizzazione stessa, e anzi in certi frangenti addirittura rivendicati. Non solo. E’ notizia di qualche mese fa, sempre derivante da santa Wikileaks, che il più grande festival di musica etnica d’Europa, che si svolge ogni estate a Belgrado, apparentemente solo evento culturale e musicale, è organizzato proprio dai dirigenti di Otpor, con i conseguenti ritorni politici ed economici che possiamo immaginarci.
Una brutta storia, insomma. Losca, fatta di finanziamenti esteri per far crollare governi legittimamente eletti e ancora di più per smembrare stati di diritto. Il perché, facile intuirlo. Ce lo ha spiegato in questi mesi il signor Marchionne: se non fossero passati i referendum farsa di Pomigliano e di Mirafiori, avrebbe spostato tutta la produzione all’estero. Dove? Ma certo, in Serbia, dove si produce senza diritti, secondo le regole del padrone e con il beneplacito dello stato liberista. Come è stato possibile tutto ciò? Dalla cacciata di Milosevic, dallo smantellamento dello stato sociale serbo, e dalla normalizzazione dell’unica area ancora non asservita al capitale neoliberista europeo: la Serbia, appunto.
Detto questo però, questa storia delle rivoluzioni apolitiche per la cacciata del despota ha avuto fortuna ed è proseguita altrove. In Venezuela, ad esempio. Il tentato colpo di stato del 2002 è stato fomentato proprio da una serie di rivolte studentesche universitarie promosse da studenti apparentemente apolitici e apartitici. Dicevano di ispirarsi ad Otpor, i poverini, e come loro volevano abbattere il regime socialista tirannico e instaurare la democrazia. Per fortuna le cose la andarono diversamente. Non però i retroscena. Che parlano di finanziamenti CIA, di scuole di formazione politica e di canali politici con il governo nordamericano che, come dire, facilitarono le cose. Garantendo una carriera politica ed economica a quei presunti giovani apolitici. Esattamente come nella ex-Jugoslavia.
Per non parlare poi della serie di rivoluzioni arancioni, rosa, verdi, allo zafferano o dei ciclamini che hanno incendiato l’est europeo spodestando tutti i leader filo russi della regione. Il passaggio dell’oleodotto Nabucco, già “ispiratore” dell’invasione afgana, ovviamente non c’entrava nulla. Così come non c’entrano nulla i tentativi di ridurre l’egemonia russa su tutta la regione; le liberalizzazioni dei mercati a seguito delle false rivoluzioni di falsi leader democratici, l’avvicinamento di questi Stati all’Unione Europea, i finanziamenti europei che iniziarono a circolare incessantemente. Una cosa però emerge costante: la “guida” economica e politica di Stati Uniti e Unione Europea di queste rivolte, l’appoggio incondizionato, che ha portato in pochissimo tempo Ucraina, Serbia, Georgia, Kirghistan ad allontanarsi dall’egemonia russa per entrare nell’orbita di servaggio europeo. Con tutto ciò che ne è conseguito: apertura dei mercati, smantellamento del welfare, annullamento dei diritti sul lavoro. In cambio di una “presunta” democratizzazione della vita politica interna, tutta ad uso e consumo dei candidati appoggiati dall’occidente.
Quindi, fatta questa ampia premessa, è chiaro come la notizia di un appoggio più o meno evidente da parte di organizzazioni nordamericane o filo-americane sia un grosso problema e in parte spiega questa “strana” esplosione di rivolte. Dopo anni di silenzio tutto il mondo arabo si infuoca chiedendo democrazia. Ma siamo sicuri che dietro questo concetto di “democrazia” non si nasconda un tentativo di liberazione economica di quei territori, un tentativo di normalizzare quell’area in un mondo dove si trovano sempre più a fatica dei mercati di sbocco per i produttori occidentali? Chissà, staremo a vedere, l’importante è chiedersi sempre il come e il perché di certe rivolte. Anche perché l’esodo di questi giorni da quei paesi appena rivoltati non sembra proprio il sintomo di un ritrovato benessere, ma una fuga da un futuro che sembra sempre più oscuro, o forse segnato.