I TULLIANOS
Li chiamano così, come i “Sopranos” perché rappresentano la telenovela dell’estate-autunno. Metà Italia che si cruccia perché l’appartamento di Montecarlo forse è stato effettivamente regalato da Fini al cognato farabutto; l’altra metà (quella berluschina) che si infervora perché “se ha rubato Fini, allora anche Silvio può rubare alla grande”. Che amarezza…
Pensare che Fini sia considerato oggi un esponente della parte progressista del Paese (Fini?! Fini il delfino di Almirante?!!) è così ridicolo da far capire in che tempi viviamo. Pensare, invece, che il fregare un appartamento dal patrimonio di Alleanza Nazionale (quindi da un’associazione privata) abbia la stessa gravità istituzionale del privatizzare a proprio vantaggio i beni pubblici (come sta facendo Berlusconi da quindici anni a questa parte) fa capire come sia debole la democrazia formale e borghese, se un vecchio buffone e le sue televisioni riescono a trasmettere questa convinzione in tutta l’opinione pubblica. Ci sembra inutile, quindi, commentare le vicende dei Tullianos. Al di là di tutto si ha forte l’impressione che si stia giocando l’ennesima sceneggiata dentro il centro-destra: con il PD impegnato a vedere i suoi leader litigare per decidere chi sia più perdente dell’altro e la sinistra borghese impegnata a capire come pagare a fine mese gli stipendi al suo ceto politico, Berlusconi e soci continuano nella farsa teatrale con la quale recitano tutti i ruoli dell’arco costituzionale: “Allora, sentite, io faccio l’imprenditore simpatico e puttaniere, tu fai l’opposizione democratica e progressista, quello fa il razzista, quell’altro il fascista, quell’altro ancora il liberal, tu la femminista, tu l’animalista, tu il moderato un po’ coglione ecc…” Di questa faccenda grottesca, alla quale il Giornale e Libero hanno dedicato, da fine luglio a ieri, rispettivamente 55 e 51 prime pagine, ci interessano solamente due aspetti, apparentemente secondari ma secondo noi piuttosto meritevoli. Il primo: a scovare (e forse architettare) la documentazione del Ministro della Giustizia del piccolo paradiso fiscale dell’isola di Santa Lucia (qui la storia supera ogni senso del ridicolo…), facendo un grosso grosso grosso favore a Berlusconi è un giornalista, tale Lavitola, che attualmente dirige l’Avanti! e si dichiara ancora socialista. C’è da diventare scemi: ma è mai possibile che tutti – e sottolineiamo tutti – i reduci del vecchio PSI siano più berlusconiani dei figli di Berlusconi!? Ora, va bene che c’è stato Craxi, le tangenti, la Milano da bere, Hammamet e tutto il resto, ma il PSI nasce come una costola della sinistra, partecipò alla Resistenza, fece parte del Fronte Democratico Popolare, si presentò alle elezioni con le insegne della falce e martello e sotto il sol dell’avvenire. Lo stesso quotidiano Avanti! (da tempo ridotto a lauto parcheggio per gli amici degli amici) rappresentava negli anni d’oro una voce dei lavoratori, non lo scendiletto di Berlusconi. Senza farla troppo lunga, ricordiamo come in Italia (in maniera anche più accesa di quanto accaduto altrove), si sia giocata una lunga battaglia tra socialisti e comunisti, con reciproche accuse e l’insanabile rottura dell’unità proletaria (quando i due partiti avevano una forte base operaia). Del PCI si può dire tutto il male possibile (e questo blog ne ha spesso ricordate le pesanti colpe politiche), ma ci chiediamo dove stanno adesso quelli che accusavano il massimalismo comunista ed esaltavano la socialdemocrazia e il pensiero riformista. Dimenticando che quest’ultimo è innanzi tutto una contraddizione in termini (socialismo e democrazia liberale insieme, mah!!) e successivamente una comoda sponda per il “capitalismo buono”. Il secondo spunto che prendiamo dalla vicenda dei Tullianos lo fornisce Marcello Veneziani, scribacchino della destra convertito, come tanti, al soldo di Berlusconi. Su Il Giornale dello scorso sabato scrive un lungo e toccante articolo (pagina 5), pieno di pathos e solo parzialmente contraddetto dalle chiappe di Belem che incorniciavano la pagina. Ne proponiamo la parte iniziale:
Io so chi c’è dietro le carte che accusano Fini. So chi le ispira, conosco bene il mandante. Non c’entra affatto con Palazzo Chigi, i servizi segreti, il governo di Santa Lucia. È un ragazzo di quindici anni che si iscrisse alla Giovane Italia. Sognava un’Italia migliore, amava la tradizione quanto la ribellione, detestava l’arroganza dei contestatori almeno quanto la viltà dei moderati, e si sedette dalla parte del torto, per gusto aspro di libertà. Portava in piazza la bandiera tricolore, si emozionava per storie antiche e comizi infiammati, pensava che solo i maledetti potessero dire la verità. Quel ragazzo insieme ad altri coetanei fondò una sezione e ogni mese facevano la colletta per pagare tredicimila lire di affitto, più le spese di luce, acqua e attività. Si tassavano dalla loro paghetta ma era solo un acconto, erano disposti a dare la vita. Il ragazzo aveva Vinto una ricca borsa di studio di ben 150mila lire all’anno e decise di spenderla tutta per comprare alla sezione un torchio e così esercitare la sua passione politica e anche di stampa. Passò giorni interi da militante, a scrivere, a stampare e diffondere volantini. E con lui i suoi inseparabili camerati, Precco, Martimeo, il Canemorto, e altri. Scuola politica di pomeriggio, volantini di sera, manifesti di notte, rischi di botte e ogni tanto pellegrinaggi in cerca di purezza con tricolori e fazzoletti al collo. Erano migliaia i ragazzi come lui. Ce ne furono alcuni che persero la vita, una trentina mi pare, ma non vuol ricordare i loro nomi; lo infastidiva il richiamo ai loro nomi nei comizi per strappare l’applauso o, peggio, alle elezioni per strappare voti. Perciò non li cita. Sa solo che uno di quei ragazzi poteva essere lui. È lui, il ragazzo di quindici anni, il vero mandante e ispiratore delle accuse a Fini.
Quanta poesia. Abbiamo la pelle d’oca e le lacrime agli occhi. Il ragazzo di 15 anni descritto nell’articolo è ovviamente lo stesso Marcello Veneziani. Nella trama dell’attacco a Fini non c’è solo il descriverlo come traditore di Berlusconi (che, in fondo, è quello che sgancia i dinari, quindi avrebbe anche il diritto di farsi rodere il culo), ma anche quello di farlo passare come traditore dell’MSI. Questo passaggio non è particolarmente chiaro, perché l’MSI non c’è più dal 1994 e lo stesso Veneziani – come tutti quelli che temevano di perdere il lauto stipendio da fancazzisti – fu assai lesto ad aderire ad Alleanza Nazionale. Ora, dopo quindici anni, Veneziani rispolvera la Fiamma del ciccione appeso a testa in giù e usa il pretesto dell’attacco a Fini per esaltarne quella storia. Un trucchetto già visto, ma che è sempre bene smascherare. Solo che adesso vorremmo dire a Veneziani che noi ricordiamo un’altra storia, a proposito dei giovani neofascisti (“migliaia”, dice Veneziani: addirittura! E come mai che l’MSI non prendeva un cazzo di voti?!!!) impegnati con il Movimento Sociale Italiano. La storia che ricordiamo noi è quella di giovanotti figli della media-alta borghesia (tutti, ma veramente tutti) che cercano di svoltare il loro venerdì sera scimmiottando il Ventennio e provando (non riuscendoci sostanzialmente MAI) a ripristinare l’ordine sociale che una generazione di compagni e compagne (loro sì, a migliaia) stava provando a sovvertire. I neofascisti volevano impedire il cambiamento non perché “detestavano l’arroganza dei contestatori” ma perché temevano di perdere quei privilegi a cui erano ben abituati e perché se uno nasce figlio del padrone è assai improbabile (giustamente) che faccia il rivoluzionario. Giovanotti spalleggiati dai poteri forti e dalle lobby economiche, protetti dalle forze dell’ordine (la storia si ripete…) e confortati dai “pat pat” del papà, che allungava loro la lauta paghetta (come ricorda anche il buon Veneziani, in un passo che sembra preso dal libro “Cuore”) per farli divertire. Molti di questi giovanotti erano protagonisti di vili pestaggi, alcuni (ma sicuramente non Veneziani, che preferiva giocare a fare il piccolo Ezra Pound) superarono la soglia e divennero il braccio stragista dello Stato democristiano e fascista. Quando i pestaggi, le coltellate, le pallottole non bastarono più si passò alla dinamite. Questo, però, Veneziani non lo ricorda. Come non ricorda che, alla faccia dei tanti presunti sacrifici del piccolo militante (stronzo), la sua adesione all’MSI gli garantì un bella rendita: non dover lavorare mai, neanche un giorno, in vita sua! Giornalista (ovviamente ben posizionato anche alla RAI), commentatore, saggista, addirittura “consigliere culturale del Comune di Reggio Calabria per la stagione teatrale” (ah, beh, allora…) – nella quale impose subito una sua opera che non volevano neanche i cani. Insomma, una vita da privilegiato, collezionando incarichi politici solo per la sua appartenenza alla destra neo-post-ma anche un po’ neo-fascista. Caro Veneziani, prendi esempio dal fedele alleato Bossi e fatti dire come usare quel tricolore che sventolavi contento “nei pellegrinaggi in cerca di purezza”… Ma vaffanculo…