Il cambio di paradigma spiegato in un grafico
Può un semplice grafico sintetizzare meglio di lunghi ragionamenti il senso politico della crisi economica e del nuovo modello produttivo globale? In questo caso, crediamo di si. Sfogliando il Corriere della Sera di ieri, domenica 4 maggio, ci siamo imbattuti in un’analisi prodotta dal Boureau of Labor Statistics, ufficio statistico governativo del governo nordamericano. La fonte è quella che è, la voce statistica del liberismo statunitense. Eppure, nella sua semplicità, e forse non cogliendo in pieno le implicazioni politiche di tale ricerca, il grafico mostra brillantemente il segno politico dei nostri tempi. Segno d’altronde colto anche dal giornalista del Corriere, che non ha potuto far altro che esternare delle riflessioni che potremmo serenamente far nostre.
In sintesi, il grafico mostra l’andamento dei prezzi di alcuni beni e servizi del mercato statunitense, ma che possono tranquillamente essere condivisi dal mercato europeo. L’andamento dei prezzi è stato sostanzialmente in pareggio, e infatti anche in Europa, così come negli USA, l’inflazione è ai minimi termini e si sta discutendo di come incentivare un po’ di sana inflazione che possa favorire il ritorno al consumo. Eppure, questa apparente palude economica nasconde una verità politica poco discussa. Mentre infatti si sono abbattuti i prezzi di tutti i generi voluttuari, secondari e di consumo, sono aumentati a dismisura tutti quei beni e servizi legati al concetto di Stato sociale e di intervento pubblico nell’economia. A fronte di una diminuzione del 40 o anche dell’80% del valore economico di televisori, computer, automobili, cellulari, giocattoli o anche servizi inerenti alla “cura per la persona”, sono aumentati specularmente (dunque anche con punte dell’80%) le spese di scuole e università, degli asili nido, delle spese sanitarie e del cibo salutare, dei trasporti, ecc… Insomma, se la media statistica continua ad aggirarsi intorno all’1,5%, la realtà fotografa al contrario un’inflazione gestita come strumento di classe, per scaricare, sulle spalle di chi ha necessità dell’intervento statale per uscire da condizioni di povertà, il prezzo di una contrazione dei consumi che altrimenti avrebbe determinato una caduta più che tendenziale del profitto privato.
Questo fenomeno inoltre è alla base della falsa percezione del proprio status socio-economico di parte importante della popolazione. Senza una casa, senza accesso a sanità e istruzione garantita pubblicamente, senza possibilità di accedere ai servizi essenziali e necessari, ma in possesso dell’ultimo ritrovato tecnologico o del paio di scarpe alla moda, la percezione comune è quella di appartenere comunque ad un ceto medio diffuso, ad una condizione economica in fin dei conti invidiabile e privilegiata. Trasformare i beni superflui in prima necessità, e di converso combattere ideologicamente la natura di “servizio pubblico” e di bene di prima necessità, ha prodotto dunque anche un problema culturale per cui larga parte della popolazione difficilmente si penserà parte di una classe subalterna, quanto piuttosto la propaggine impoverita di una classe al comando e solo temporaneamente in difficoltà economica. I danni di questo processo culturale-ideologico sono sotto gli occhi di tutti, e sicuramente sono parte in causa della difficoltà, per le sinistre, di organizzare attorno a proposte comuni rilevanti pezzi di società effettivamente proletarizzata.